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Cronaca

Processo Arlotti: testimone ritrattata le accuse contro il karateka

L'ex amica smentisce lo schiaffo. Il campione di karate Cristian Arlotti è a processo per le presunte percosse all’ex fidanzata

Testimone ritrattata nel processo Arlotti: a Torino il caso si intreccia con carriera e famiglia

Nell’ultima udienza a Torino, il processo a carico del campione di karate Cristian Arlotti per le presunte percosse all’ex fidanzata ha registrato un inatteso dietrofront di una testimone chiave dell’accusa. Un colpo di scena che, tra nuovi elementi e vecchie ombre, rimette al centro la tenuta delle dichiarazioni, il contesto dei fatti e l’impatto pubblico su una delle promesse del karate italiano.

Secondo la ricostruzione in aula, Arlotti è imputato per un episodio di violenza avvenuto dopo che la ex compagna lo avrebbe sorpreso durante un festino in casa, con cocaina e due ragazze. Quella notte il karateka era stato arrestato e, tornato in libertà, aveva chiesto in procura l’autorizzazione a partecipare ai Mondiali di karate in Giappone lo scorso anno. La posizione processuale dell’atleta resta segnata dal principio di presunzione di innocenza.

La testimone, ex amica della presunta vittima e indicata dall’accusa, ha ritrattato una parte delle precedenti dichiarazioni: “Lei (la parte offesa) ha chiesto di testimoniare su fatti di cui non sono stata testimone… dovevo dichiarare di avere assistito a uno schiaffo in discoteca che Arlotti le avrebbe dato. Ma io non l’ho visto. Così ho smesso di frequentarla”. Una puntualizzazione che incide sull’attendibilità di uno snodo narrativo centrale per l’accusa.

Sollecitata dal giudice Agostino Pasquariello a circostanziare quanto visto, la testimone ha aggiunto: “Aveva dei segni rossi sulla guancia e sul collo”, precisando tuttavia di non aver assistito direttamente a percosse: “Ho visto solo che la spingeva fuori casa”. Elementi che, se confermati da riscontri oggettivi, potrebbero delineare una dinamica diversa da quella ipotizzata in origine.

La pm Barbara Badellino ha avviato una serie di indagini per ricostruire il contesto in cui l’episodio di violenza sarebbe maturato, allargando il raggio a condotte e rapporti tra i protagonisti. Nel frattempo, la ex fidanzata ha ricevuto dall’ex amica un video considerato “scottante” per l’immagine pubblica del karateka: in aula è stato ricostruito che “si vede lui che aspira una sostanza bianca disposta su un cellulare”. Il filmato sarebbe arrivato anche all’allenatore dell’atleta. Sul piano giudiziario, la ex compagna risulta a sua volta indagata per diffamazione a seguito di una denuncia.

Il nome di Arlotti è reduce da un recente trionfo: qualche giorno fa ha conquistato l’oro agli Europei, confermandosi come una delle speranze del karate torinese e nazionale. La vicenda processuale, però, incrocia ora inevitabilmente la sua carriera. È un intreccio delicato: i successi sportivi non assolvono né aggravano, ma amplificano l’eco pubblica e alzano l’asticella della responsabilità individuale e collettiva.

L’avvocato dell’imputato, Luca Calabrò, ha chiesto di ascoltare come testimone anche il padre del suo assistito, Paolo Arlotti, fino a poco tempo fa consigliere comunale a Nichelino. Alla diffusione della notizia sui guai giudiziari del figlio, dopo un confronto nella maggioranza, il politico ha scelto di dimettersi. Un gesto che fotografa quanto la vicenda abbia travalicato l’ambito sportivo e giudiziario, con ricadute nella sfera pubblica e familiare.

Il processo si muove ora tra una ritrattazione che indebolisce un tassello dell’impianto accusatorio, un video che – se ritenuto autentico e pertinente – potrebbe aprire capitoli paralleli, e la necessità di verificare la compatibilità dei segni fisici descritti con le condotte attribuite. La strada è quella dei riscontri: testimonianze coerenti, perizie tecniche e un vaglio rigoroso della credibilità di ciascun attore processuale. Solo lì si giocherà l’esito, al riparo da scorciatoie mediatiche.

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