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01 Aprile 2023 - 15:27
canapa
Il canapaio è colui che coltiva e raccoglie la canapa, un’attività alquanto diffusa a Settimo Torinese, anche se pochissimi ne hanno memoria diretta. Negli anni Venti del diciannovesimo secolo, il raccolto annuo della canapa ammontava a circa millecinquecento emine, corrispondenti a 34.500 litri (l’emina, antica misura di capacità per le sostanze aride, equivaleva a ventitré litri). «Oltre la produzione del frumento e delle altre coltivazioni ordinarie del Piemonte, Settimo produce, in discreta quantità, canapa e cavoli», si legge in alcune note relative all’agricoltura locale nella seconda metà dell’Ottocento.
In Italia, recentemente, la produzione della canapa è aumentata in maniera sensibile. La legge numero 242 del 2 dicembre 2016 autorizza le coltivazioni delle varietà a basso contenuto di tetraidrocannabinolo (Cannabis Sativa), purché provengano da sementi certificate e consentite dalla normativa europea.
Un tempo, i terreni a canapa erano detti «canavere». La semina si effettuava all’inizio della primavera, mentre la raccolta aveva luogo verso la fine di luglio o nelle prime settimane di agosto, a seconda delle condizioni climatiche. Con particolare attenzione si determinava il momento del taglio: anticipandolo di qualche giorno si otteneva una fibra chiara, ma poco abbondante e di scarsa resistenza; ritardandolo si ricavava una fibra ruvida e scura, più difficile da estrarsi.
Dopo avere reciso i lunghi steli, il canapaio li svettava e li privava delle foglie, quindi li legava in piccoli fasci. Fondamentale risultava la successiva fase della macerazione in acqua stagnante o leggermente corrente. Il trattamento serviva a facilitare l’estrazione della fibra tessile, cioè del tiglio, che occorreva liberare dalle sostanze gommose incrostanti. I luoghi più adatti per tale operazione erano situati a sud del terrazzo naturale che divide il territorio di Settimo Torinese, in una zona notoriamente ricca di rogge e di acque sorgive. La macerazione aveva termine dopo un periodo variabile dai cinque ai quindici giorni in rapporto alla temperatura dell’acqua. L’esperienza consentiva al canapaio d’intervenire al momento giusto, evitando che gli steli cominciassero a decomporsi.
Prima di porre gli steli a essiccare bisognava lavarli, agitandoli nella stessa acqua in cui erano stati tenuti a macerare. Quindi si passava alla fase della battitura o stigliatura, finalizzata a separare la fibra dai fusti legnosi (i canapuli). L’operazione si effettuava sulle aie o nelle stalle. Nulla degli steli andava sprecato. I ragazzi raccoglievano diligentemente i canapuli che, di solito, venivano impiegati per attizzare il fuoco nel camino e per accendere le lanterne. Nel Mulino Vecchio di Settimo esisteva un’apposita pesta utilizzata per la successiva fase della maciullatura o gramolatura della fibra tessile. La pesta compare nelle fonti d’archivio sino ai primi decenni dell’Ottocento.
La fibra veniva infine pettinata. A Chivasso, stando alle convenzioni stipulate nel 1305 fra il Comune e il marchese del Monferrato, era proibito sia «rompere» sia «pentenare» la canapa nelle vie pubbliche e sotto i portici cittadini. Era compito delle donne filare la fibra con la rocca e il fuso oppure con l’arcolaio, generalmente di sera, durante le serate invernali che si trascorrevano nelle stalle.
Lavate in una tinozza del bucato, le matasse erano pronte per la tessitura. In Settimo, nel 1822, erano attivi cinque telai. «Rista» e «crapa» erano rispettivamente chiamati i fili di prima qualità, adatti a confezionare lenzuola e biancheria per la casa, e quelli più grossolani, destinati alla fabbricazione di sacchi e canovacci. Di grande resistenza erano i cordami prodotti con la canapa. Almeno un paio di funai risultavano presenti in Settimo nel periodo albertino.
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