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Lavoro, Lavoro, Lavoro

Il fallimento delle riforme del lavoro in Italia: perché il lavoro stabile è ancora un miraggio

Lavoratore

Lavoratore (foto d'archivio)

Primo maggio, lavoro. A Settimo ci sono circa venticinquemila lavoratori, un terzo dei quali precari, in linea col resto del bel Paese. È il prodotto di una legislazione orientata alla flessibilità (leggi precarietà) e poco alla stabilità. Soltanto i contratti stipulati prima del duemila sono a tempo indeterminato, le riforme successive, Biagi, Treu, Tremonti, i contratti di collaborazione e il lavoro a giornata non hanno prodotto lavoro stabile. La Germania, nello stesso periodo e con l’unificazione tra i piedi, grazie alla stabilità ha abbattuto la disoccupazione. Cosa c’è che non funziona da noi e perché le riforme non hanno portato a una classe dirigente capace di creare lavoro e ricchezza veri e duraturi?

È chiaro anche a un bambino che l’imprenditore deve guadagnare più dei suoi dipendenti. Purché rischi qualcosa, mentre da noi il rischio è stato scaricato tutto sui dipendenti. Appena qualcosa va storto, il lavoratore resta a casa, abbandonato dall’azienda per la quale fino al giorno prima aveva sgobbato. Un lavoratore precario vive di orizzonti corti: difficile che acquisti una casa, anche perché nessuno gliela finanzia, complesso comprare un’auto, arduo anche pensare a un figlio, e infatti siamo al tasso di natalità più basso della storia. Settimo non fa eccezione: le scuole fanno fatica a riempire le classi (ricordate, cinquantenni, i turni alla Giacosa negli anni ’70?), gli asili tirano i remi in barca, associazioni sportive e oratori sono pieni a metà. E anche le aziende iniziano a faticare. La precarietà genera povertà e la distribuisce su tutti, imprenditori compresi: i lavoratori da protagonisti sono tornati a essere meri elementi di produzione, il contrario di ciò che accadde negli anni settanta, ma allora gli imprenditori erano coraggiosi davvero. Il compito della politica è garantire lavoro sicuro, sano, serio, dando a chi rimane tagliato fuori rapidi percorsi di re-inserimento, non l’elemosina. Tra i tanti provvedimenti, il buon vecchio Decreto Dignità si era dimostrato un buon passo per invertire la tendenza, dare stabilità e, sul lungo, generare ricchezza vera, poiché la capacità di spesa di un individuo (e a cascata di tutta la comunità) dipende non solo da quanto guadagna, ma soprattutto dalle certezze che ha.

A Settimo come nel resto d’Italia.

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