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Per chi suona la campana?
10 Dicembre 2023 - 07:00
Monsignor Luigi Bettazzi e Adriano Olivetti
Un gentile lettore ci ha domandato in che cosa consista l’ideologia - tutt’ora egemone a Ivrea e nel Canavese - «olivettian- bettazziana» che grava come una cappa sul territorio, con la conseguenza – sotto gli occhi di tutti - per cui si guarda sempre in ogni ambito al passato in termini nostalgici o mitizzanti.
Abbiamo ricordato e celebrato in questi giorni l’80 anniversario della morte di Camillo Olivetti che con la sua genialità e il suo impegnò fondò quell’azienda che ha plasmato e configurato il Canavese introducendolo nella modernità e rendendo il nome di Ivrea famoso in tutto il mondo.
Ancor di più l’erede Adriano è diventato il simbolo dell’industriale illuminato – quasi un principe rinascimentale – un visionario che seppe coniugare spirito di impresa e cultura, profitti e servizi sociali, avanguardia del prodotto e ricerca, visione internazionale e attenzione al territorio fino all’impegno politico fuori degli schieramenti tradizionali.
Generazioni di canavesani - e non solo – si formarono e crebbero alla Olivetti assunta come un modello di capitalismo dal volto umano.
Dopo la sua morte iniziò la lenta e lunghissima crisi fino alla chiusura e sulle cui cause sono state scritte intere biblioteche, così come sugli anni d’oro dell’azienda e del suo massimo sviluppo – gli Anni Cinquanta e Sessanta - quando il distretto dell’Albese, che oggi primeggia in Piemonte, era ancora la terra della «Malora» narrata da Beppe Fenoglio.
Oggi le parti si sono invertite e Ivrea vive da anni una depressione senza fine con i tardi epigoni di quella stagione ancora come protagonisti: anziani vigorosi, prepensionati d’oro e abbienti, radical progressisti sempre in battaglia, piuttosto presuntuosi e propensi a pontificare, poco inclini all’autocritica ma sempre disposti a fare il «mea culpa» sul petto degli altri, reduci da fallimentari esperienze imprenditoriali e politiche, gli «olivettiani» vivono come i gloriosi reduci di un tempo sempre più circonfuso nel mito.
Speculare, sul versante ecclesiale, è la figura di monsignor Bettazzi nella cui vita centenaria ha fatto in tempo vedere la monumentalizzazione di sé stesso e della sua idea di Concilio letto, non secondo i documenti, ma secondo il suo «spirito», attento a cogliere i «segni dei tempi» solo a condizione che rinviassero sempre agli Sessanta e Settanta del secolo scorso, altrimenti si è «indietristi».
Del grande vescovo, i suoi epigoni assumono - anch’essi come gli olivettiani (perché spesso sono le stesse persone) e in perfetta buona fede - il profetismo sociale che trasforma il cristianesimo in una sempre più estenuata ideologia solidarista ed eco-pacifista. Con il rischio di dimenticare la sostanza soprannaturale dell’esperienza cristiana.
Piaccia o non piaccia, nel tempo della secolarizzazione totale che, come disse Zygmunt Bauman, «impone all’uomo di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale anziché soluzioni sociali a problemi privati», pensare a riprodurre i fasti di un sia pur glorioso passato, significa consegnarsi all’irrilevanza e ridurre il territorio in una landa desolata e in un paese per vecchi.
Parafrasando Freud, occorrerebbe per emanciparsi e rinascere «uccidere i padri».
* Frà Martino
Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconterà di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E sarà una messa non certo una santa messa, Amen
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