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Per chi suona la campana
12 Novembre 2023 - 10:09
Don Lorenzo Milani
Guai dunque a chi tocca don Milani. Impossibile criticarlo, le sue posizioni ideologiche sono diventate un patrimonio civile, l’unica narrazione ammessa è quella celebrativa. Nel 1992 lo scrittore Sebastiano Vassalli - non certo un conservatore - pubblicò un articolo intitolato Don Milani, che mascalzone, che ebbe critiche feroci alle quali dovette replicare con un secondo pezzo intitolato Ma allora i miti non muoiono mai. Che cosa aveva scritto? Semplicemente che la scuola di Barbiana «era in realtà una sorta di pre-scuola (o dopo scuola) parrocchiale, dove un prete di buona volontà aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio, e se non ci riusciva incolpava i ricchi».
Vassalli definì quella di don Milani «un’esperienza didattica forse non proprio marginale, simile in definitiva a tantissime altre» che «si era venuta arricchendo di un ingrediente rivoluzionario: l’odio di classe».
Dell’ideologia di don Milani, delle sue discutibili teorie in materia di educazione, dei suoi allievi e propagandisti è difficile parlare con serenità.
Nel 2017, Walter Siti, celebre intellettuale e romanziere, curatore dell’opera omnia di Pasolini, per aver accennato alla possibile omosessualità del prete di Barbiana, ha subito un mezzo linciaggio mediatico.
La famosa Lettera a Gianni del 1956 in cui don Milani, parlando in difesa dei contadini, giustificava la rivolta violenta, era indirizzata a Gianpaolo Meucci il quale nel 1978, in qualità di il presidente del Tribulane dei minori, dopo l’arresto per abusi sessuali, riabilitò Rodolfo Fiesoli, il guru della comunità il Forteto che ha visto confermata una condanna a oltre 14 anni per molestie.
Oggi - checchè ne dicano i tromboni del politicamente corretto (cattocomunista) per i quali è sempre d’obbligo demitizzare e relativizzare il Vangelo, ma non è lecito farlo con il priore di Barbiana - la sua figura e la sua opera sono usciti dall’agiografia. Certo il disastro delle scuola italiana non può essergli direttamente ascritto, così come non vi è un nesso diretto fra gli studi su Robespierre compiuti da Pol Pot alla Sorbona degli Anni Cinquanta («Umanesimo e terrore» di Maurice Merleau- Ponty) e – come invece molti sostengono – il concepimento delle stragi messe in atto dal suo regime in Cambogia. Tuttavia un legame c’è, perché le teorie non restano mai senza conseguenze, nel bene come nel male.
Don Milani, per chi legga non superficialmente i suoi scritti, è stato il fautore della scuola livellata verso il basso in nome dell’uguaglianza, della scuola senza bocciature né gerarchie. Come gran parte dei pensatori sessantottini venuti dopo di lui, don Lorenzo pose le basi per la dissoluzione dell’autorità e della figura paterna in particolare.
La venerazione acritica del mito di don Milani è rimasta relegata ai ristretti ambienti degli inguaribili nostalgici che coltivano ancora l’idea di elevarlo addirittura alla gloria degli altari … magari evitando il processo canonico. Mettere in evidenza i limiti della sua esperienza, togliendolo dal piedistallo, non è una ingiuria ma l’esercizio di un dovere critico che aiuterebbe invece la migliore comprensione di una personaggio a cui non fecero comunque difetto generosità e passione.
Come sta il Papa? La rivelazione di Alberigo
Apprensione per la salute del Santo Padre il quale, dovendo incontrare i rabbini europei, ha comunicato egli stesso di stare poco bene, alimentando l’apprensione dei fedeli. Preghiamo dunque per il Successore di Pietro. E a tal proposito sovviene un episodio che, in qualche modo, ha che fare con Ivrea. Molti sanno che cosa sia la Scuola di Bologna e cioè quella che è diventata la fucina del cattolicesimo avanzato.
Il suo fondatore fu l’ex vicesegretario della Dc e insigne costituente, don Giuseppe Dossetti, vicario generale della diocesi di Bologna quando il giovane Luigi Bettazzi era vescovo ausiliare del cardinale Giacomo Lercaro.
Alla guida di quella che diventerà poi la Fondazione per gli Studi Religiose gli successe Giuseppe Alberigo (1926-2007), maestro di Alberto Melloni, coordinatore di una Storia del Vaticano II in cinque volumi - ideologica ed orientata - ambedue sodali del vescovo di Ivrea. In una intervista rilasciata a Repubblica del giugno 2005, lo stesso Alberigo ricordava che nel 1953, nella sua casa di Bologna, un monaco benedettino suo ospite «pio e assai famoso» (il padre Jean Leclerc), invitava lui e la moglie a pregare per la morte di Pio XII e spiegava: «Ora il Santo Padre è un peso per la Chiesa, preghiamo perché il Signore se lo prenda presto».
Il Signore li esaudirà soltanto nel 1958. Se oggi qualche conservatore facesse lo stesso nei confronti di papa Francesco – naturalmente sempre per il bene della Chiesa – non osiamo immaginare cosa succederebbe…se non la scomunica, sicuramente l’interdetto.
Se fosse poi un prete o un religioso, come padre Leclerc, allora sì, scatterebbe la sospensione a divinis, altro che abusi liturgici! All’epoca invece la rivelazione di Alberigo fu accolta con apprezzamenti e consenso, in quanto si era pregato per la morte del «cattivo» papa Pacelli.
Come diceva don Giuseppe De Luca, riferendosi a Roma, la sinistra non battezza, cresima.
* Frà Martino
Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconterà di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E sarà una messa non certo una santa messa, Amen
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