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Saluggia

Non è un Paese per impianti nucleari

Ritardi, incidenti ed enormi costi

Non è un Paese per impianti nucleari

Scorie liquide

La vicenda dell’impianto Cemex, insieme a quelle dell’infinito smantellamento delle centrali e della ricerca finora infruttuosa di un sito ove costruire il Deposito Nazionale in cui stoccare tutto il materiale radioattivo prodotto in Italia, è emblematica di come questo Paese - in cui alcuni politicanti farneticano di “nucleare di quarta generazione”, che non esiste - non sia ancora riuscito a chiudere i conti con il nucleare di seconda generazione: quello che, poco dopo la metà del secolo scorso, ha portato all’apertura di centrali nucleari e impianti di supporto, e che ha prodotto quantità risibili di energia elettrica.

Centrale nucleare Enrico Fermi a Trino Vercellese

Che si sia “nuclearisti” o meno, il dato di fatto è innegabile: la stagione nucleare italiana ha infatti prodotto - sia dal punto di vista economico che ambientale - molti più costi che benefici, e a quarant’anni dalla chiusura delle centrali siamo ancora qui a pagarne le conseguenze. 

Insomma: quello del nucleare italiano è un carrozzone che continua a succhiare ingenti risorse pubbliche ed è utile solo a coloro che ci stanno sopra

Il decommissioning di centrali e impianti - affidato da oltre vent’anni a Sogin, società pubblica finanziata anche con le accise sulle bollette - si trascina con continue proroghe dei cronoprogrammi redatti da Sogin stessa, e con conseguenti aumenti dei costi: dai 4 miliardi di euro inizialmente previsti siamo ormai a 8, e probabilmente non ne basteranno 10. Le scorie liquide conservate nei serbatoi del sito di Saluggia, a pochi metri dalla Dora Baltea, avrebbero già dovuto essere solidificate da decenni, ma siamo a fine 2022 e ancora l’impianto per la loro cementazione non è pronto (e, con la rescissione del secondo appalto, chissà se e quando lo sarà). Il tassametro, nel frattempo, continua a girare.

Intanto l’iter per l’individuazione del sito per il Deposito Nazionale - che, ad oggi, avrebbe dovuto già essere completato e riempito: l’Italia, a causa del ritardo, è in procedura di infrazione europea - si è arenato dopo la pubblicazione della Cnapi: tutti i Comuni e le Regioni in cui sono state individuate le 67 aree “potenzialmente idonee” (secondo Sogin) ad accogliere il Deposito si sono opposte inviando migliaia di pagine di osservazioni tecniche. E così Sogin continua a costruire, in pressoché tutti i siti nucleari italiani, costosissimi depositi “temporanei”, consolidando la presenza di materiale radioattivo in luoghi che, secondo gli auspici, dovrebbero essere ormai liberi dalla servitù nucleare e diventati green field.

Per non parlare, poi, dei numerosi incidenti - fortunatamente di lieve entità - che in questi anni hanno caratterizzato l’operato di Sogin negli impianti in dismissione, con sversamento di liquidi radioattivi sui piazzali o nelle falde acquifere sottostanti, o delle emissioni radioattive in acqua e in atmosfera che continuano anche con impianti spenti e non più funzionanti.

Insomma: quello del nucleare italiano è un carrozzone che continua a succhiare ingenti risorse pubbliche ed è utile solo a coloro che ci stanno sopra: a Sogin - che non è altro che un’enorme stazione appaltante - e a tutti quei soggetti - pubblici e privati - che gravitano intorno al business dello smantellamento, che più a lungo si protrae e meglio (per loro) è. Per i cittadini, invece, solo costi. E per l’ambiente soltanto problemi. 

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