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Cronaca
21 Dicembre 2025 - 11:00
Dalla ’ndrangheta ai bar: la Cassazione smonta il sistema dei Vazzana nel Canavese (immagine di repertorio)
Una verità giudiziaria che si chiude senza appello e un segnale che va oltre i nomi coinvolti. Con una sentenza destinata a pesare nel Canavese, la Cassazione ha respinto tutti i ricorsi e reso definitiva la confisca dei beni riconducibili alla famiglia Vazzana, blindando uno dei capitoli patrimoniali più rilevanti dell’inchiesta “Platinum – Dia”. Una decisione che parla di ’ndrangheta, di società di comodo, di patrimoni sproporzionati e di un sistema che, secondo i giudici, ha utilizzato intestazioni fittizie e passaggi societari per schermare ricchezze di origine illecita.
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, presieduta da Gaetano De Amicis, con sentenza del 16 settembre (pubblicata il 3 dicembre), ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Elisabetta Ceniccola, dichiarando inammissibile il ricorso presentato nell’interesse di Mario Vazzana, 63 anni, e rigettando quelli proposti dai familiari. Confermato così il decreto della Corte d’Appello sulle misure di prevenzione patrimoniali, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Al centro delle contestazioni difensive c’era il tema della pericolosità sociale, soprattutto sul piano temporale. La difesa di Mario Vazzana sosteneva che l’affiliazione alla locale di ’ndrangheta di Volpiano fosse successiva al 1994 e non antecedente al 27 febbraio 1991, data decisiva per collegare gli acquisti contestati. Ma la Cassazione ha ritenuto la doglianza infondata, chiarendo che l’adesione all’associazione mafiosa era stata accertata almeno dagli anni Novanta, collocando dunque l’intero arco degli investimenti nel periodo rilevante.
Altro nodo centrale era la presunta mancanza di correlazione temporale tra pericolosità e acquisizione dei beni. Anche qui la Suprema Corte ha richiamato la motivazione della sentenza d’appello, definita “compiuta e coerente”: per ciascun bene confiscato, la data di acquisizione ricadeva nel periodo di manifestazione della pericolosità e risultava una evidente sproporzione tra redditi leciti e patrimonio accumulato, estesa all’intero nucleo familiare.
Sotto la lente dei giudici sono finite anche le operazioni societarie. In particolare la Extreme s.a.s., riconducibile ad Agostina Ceravolo e ai figli Antonio Madea e Cataldo Madea, conviventi con Mario Vazzana dal 2017. La società venne costituita pochi giorni prima dell’acquisto del bar “La Corte”, rilevato dalla Ristorante Belmonte s.a.s. per 12 mila euro, una somma che – secondo gli atti – non risulta mai effettivamente corrisposta. Per la Cassazione, la Belmonte, già gravata da una forte esposizione debitoria, sarebbe stata svuotata, mentre l’attività del bar proseguiva formalmente intestata a terzi, al riparo dalle pretese dei creditori.
Analoga valutazione riguarda i flussi finanziari. I giudici hanno richiamato la ricostruzione dettagliata della situazione economica di Agostina Ceravolo, ritenuta incompatibile con l’acquisto di un Volvo XC60 nel 2017. Stessa sorte per l’autovettura BMW intestata al figlio Antonio Madea, per la quale sono stati accertati versamenti privi di giustificazione reddituale. Prima del 2017, scrive la Corte, la situazione familiare era così fragile da richiedere aiuti esterni, circostanza che rende ancora più evidente l’anomalia delle spese sostenute.
Respinto anche il ricorso di Anna Ida D’Erchie, moglie di Giuseppe Vazzana. Per l’immobile di via San Marco 22 e per la Green s.r.l., la Cassazione ha confermato l’esistenza di un accumulo fittizio in periodo di sperequazione. In particolare, per l’immobile di Volpiano, via Umberto I 11, è stato accertato un saldo negativo tra entrate e uscite negli anni delle operazioni, con finanziamenti eccedenti le risorse lecite disponibili. Secondo i giudici, decisivo il contributo economico del marito, nonché la successiva cessione simulata delle quote, giudicata funzionale a preservare il patrimonio familiare.
A rafforzare il quadro, anche alcuni dialoghi intercettati, dai quali emerge che la ricorrente non era neppure consapevole dell’attività svolta dalla Green s.r.l., elemento che per la Corte conferma la natura meramente strumentale dell’intestazione.
La sentenza si inserisce nel solco dell’operazione Platinum – Dia, scattata all’alba del 5 maggio 2021, a dieci anni dall’inchiesta Minotauro. Un’indagine che ha ricostruito il radicamento della ’ndrangheta a Volpiano, tra attività lecite e illecite finalizzate al riciclaggio e al sostegno degli affiliati. Tra gli arrestati, i fratelli Mario e Giuseppe Vazzana, imprenditori attivi nel settore alberghiero e della ristorazione tra Volpiano e Chivasso, condannati nel settembre 2023 per associazione mafiosa rispettivamente a 6 anni e 11 mesi e 6 anni e 8 mesi di reclusione. Nel gennaio 2024, su proposta della Dia, il Tribunale di Torino ha disposto la confisca di beni per circa otto milioni di euro, tra cui società, immobili, rapporti finanziari, autoveicoli e un hotel a Volpiano che portava il loro nome.
Con questa decisione, la Cassazione rafforza due capisaldi dell’azione di contrasto patrimoniale: il nesso tra pericolosità sociale e arricchimento ingiustificato, e la necessità di guardare oltre le intestazioni formali, smontando passaggi societari di facciata e schermi familiari. Un messaggio che nel Canavese arriva forte e chiaro: il patrimonio, quando non trova riscontro nei redditi, non è mai davvero al sicuro.
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