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Cronaca
27 Novembre 2025 - 12:39
Orrore nel carcere di Cuneo: detenuto disabile violentato per tre giorni dal compagno di cella
Per tre giorni ha subito violenze sessuali, minacce e tentativi di strangolamento all’interno della sua cella, senza che nessuno se ne accorgesse. È accaduto nel carcere Cerialdo di Cuneo, dove un detenuto italiano di 61 anni, con disabilità motorie e fragilità psichiche, è stato ripetutamente abusato dal compagno di cella, un uomo di origine africana detenuto per reati legati alla droga.
La vittima, reclusa da anni per truffa e lesioni personali e con un passato segnato da autolesionismo e tentativi di suicidio, viveva nella sezione “Gesso”, area a sorveglianza dinamica dove le celle vengono aperte per diverse ore al giorno e il controllo non è più diretto, ma effettuato da un solo agente che deve coprire tre piani. Una scelta organizzativa che oggi torna pesantemente sotto la lente.
L’aggressore non era un detenuto qualunque: era stato nominato “piantone”, incaricato di assistere il compagno non autosufficiente nelle necessità quotidiane. Secondo la ricostruzione, invece, avrebbe sfruttato la posizione di fiducia per isolarlo, minacciarlo con un coltello e costringerlo ai rapporti sessuali. Le violenze sono andate avanti per giorni, senza che dalle sezioni o dai corridoi arrivasse alcuna segnalazione.

La verità è venuta alla luce soltanto quando il 61enne, terrorizzato e provato, ha trovato la forza di confidare alla psicologa dell’istituto ciò che stava accadendo. Trasportato all’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, ha confermato anche al personale sanitario le violenze e le minacce subite. Il referto del 20 novembre parla chiaramente di violenza sessuale.
Dopo le prime cure, il detenuto è stato ricondotto nella stessa struttura carceraria, ma lui e l’aggressore si trovano ora in isolamento, separati dal resto della popolazione carceraria.
L’episodio riapre una questione nota: nel padiglione Gesso, come in altre sezioni simili in Italia, la sorveglianza dinamica ha ridotto la presenza attiva della polizia penitenziaria, con un solo agente per un’area molto vasta. A complicare la situazione, emerge che molte telecamere risultano parzialmente guaste, rendendo di fatto impossibile monitorare con continuità ciò che accade nelle celle e nei corridoi.
Un dettaglio che pesa enormemente sull’inchiesta, e che ricorda casi analoghi come quello del carcere di Marassi, a Genova, dove un altro episodio di violenze aveva scatenato una rivolta collettiva.
Ora si indaga sulle responsabilità, sui mancati controlli e sulla tenuta dei sistemi di sicurezza. Una storia che mette a nudo non solo l’orrore vissuto da una vittima fragile, ma anche il fallimento di un modello di vigilanza che, in assenza di personale e strumenti funzionanti, rischia di lasciare spazio alla violenza più brutale.
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