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Cronaca
26 Novembre 2025 - 20:33
Cuneo, condannato dopo 7 anni l’uomo fuggito dopo un'aggressione brutale alla ex (foto di repertorio)
La sentenza arriva dopo sette anni. Sette anni segnati da fughe, inseguimenti, mancati arresti, apparizioni improvvise e sparizioni immediate. Oggi il Tribunale di Cuneo ha condannato a otto anni e dieci mesi di carcere un uomo riconosciuto colpevole di stalking, violenza sessuale, violazione di domicilio e lesioni aggravate, oltre ad altri reati minori. Una vicenda nata nel maggio 2018, quando la sua ex moglie — che già lo aveva denunciato per maltrattamenti — decise di allontanarlo dalla casa di famiglia a Battifollo, nel Cuneese.
La notte dell’aggressione è rimasta impressa in ogni dettaglio negli atti processuali. L’uomo fece irruzione nell’abitazione, violando il provvedimento che gli imponeva di stare lontano. Colpì la donna con violenza, la costrinse a subire un rapporto non voluto e la trascinò fuori casa mentre la minacciava con un coltello. Nel tentativo di fuggire, lei si ferì, ma riuscì a scappare e a chiedere aiuto a un passante. Per il pubblico ministero, quella furia rappresentava «una progressione criminale» che avrebbe potuto degenerare «fino all’omicidio».
Da quel momento iniziò la latitanza. L’uomo, cittadino romeno, sparì nel giro di poche ore. Si rifugiò prima in Romania, dove rimase lontano dai radar italiani, poi raggiunse la Germania, dove venne temporaneamente fermato per una rissa. Anche in quell’occasione, approfittando di un momento di confusione, riuscì ad allontanarsi dal commissariato. La fuga continuò senza sosta: tornato in Italia, dopo un incidente stradale, scappò anche dall’ospedale di Mondovì, lasciando dietro di sé solo un modulo di dimissioni mai compilato.
Una latitanza definita «rocambolesca» dagli investigatori, che lo descrivevano come una primula rossa, capace di sottrarsi ai controlli e di lasciare poche tracce nei suoi spostamenti. Un uomo che, nelle parole dell’accusa, aveva dimostrato una «determinazione assoluta» nel sottrarsi alla giustizia.
In aula, però, si è difeso negando ogni accusa. Interrogato dalla presidente del collegio sulle macchie di sangue trovate nel bagno di casa dopo l’aggressione, ha risposto soltanto: «Non era sangue, era sporco come sempre». Una frase che ha lasciato trasparire la distanza tra la ricostruzione delle autorità e la versione offerta dall’imputato, che ha tentato fino all’ultimo di ridimensionare il quadro accusatorio.
La sentenza chiude una lunga fase processuale ma non cancella le ferite lasciate da quella notte del 2018. Per la donna, che da allora vive con le cicatrici fisiche ed emotive di un’aggressione sfuggita per poco a un epilogo ancora più tragico, il pronunciamento dei giudici rappresenta la fine di un’attesa durata anni.
Il procedimento è stato pronunciato in primo grado. Rimangono le vie dell’appello e della Cassazione. L’imputato, come stabilito dalla legge, gode ancora della presunzione di innocenza fino al passaggio in giudicato della sentenza.
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