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Cronaca

La scatola degli 8mila euro e le intercettazioni: il processo sulla presunta tangente di Nichelino

In aula la versione della Procura e quella degli imputati, tra accuse di corruzione, turbativa d’asta e la tesi del “semplice prestito” al funzionario comunale fermato nel 2020

La scatola degli 8mila euro e le intercettazioni: il processo sulla presunta tangente di Nichelino

La scatola degli 8mila euro e le intercettazioni: il processo sulla presunta tangente di Nichelino (immagine di repertorio)

La mattina del 16 marzo 2020, davanti al municipio di Nichelino, la Guardia di Finanza fermò una scena che all’epoca apparve subito sospetta: una donna che consegnava una scatola a un funzionario comunale, mentre un’auto civetta seguiva i movimenti a distanza. Dentro quella scatola, gli agenti trovarono 8.000 euro in contanti. Una somma che, secondo gli investigatori, non aveva nulla di casuale. Oggi quella vicenda è diventata un processo davanti al tribunale di Torino, con l’ipotesi di una tangente legata a un appalto pubblico e con tre imputati a cui vengono contestati, a vario titolo, i reati di corruzione e turbativa d’asta.

L’inchiesta scattò grazie a una serie di intercettazioni telefoniche: non erano state attivate per il Comune di Nichelino né per presunte irregolarità negli appalti, ma per un’indagine completamente diversa. Fu proprio in quelle conversazioni captate, però, che i militari individuarono il riferimento a un pagamento imminente, descritto in modo tale da far pensare a un passaggio di denaro illecito. I finanzieri decisero di verificare e organizzarono un monitoraggio riservato attorno al municipio. Quando videro la scatola cambiare di mano, intervennero.

Secondo la ricostruzione della pm Laura Longo, i soldi erano riconducibili al titolare di una impresa di pulizie di Bari. L’imprenditore mirava a ottenere un appalto bandito da SCR Piemonte, la società regionale di committenza, e il funzionario comunale fermato dai finanzieri sedeva proprio nella commissione aggiudicatrice incaricata di valutare le offerte. Un dettaglio che, per la Procura, rende la scena della consegna non solo sospetta, ma indicativa di un vero e proprio patto corruttivo finalizzato a orientare la gara. L’imprenditore ha già definito la propria posizione con un patteggiamento, uscendo dal processo.

A rispondere in aula sono rimasti quindi tre imputati: il funzionario comunale, la donna che materialmente gli passò la scatola e un collega che – secondo l’accusa – avrebbe preparato il pacchetto. Entrambi i dipendenti dell’azienda pugliese sostengono di non aver mai saputo che cosa contenesse il contenitore né quale fosse il reale significato di quel trasferimento di denaro. Una versione che intendono ribadire nel corso del dibattimento, puntando sulla totale estraneità alle intenzioni dell’imprenditore e a quelle attribuite al funzionario.

È invece quest’ultimo a offrire la linea difensiva più netta e, allo stesso tempo, più complessa da verificare. L’uomo sostiene che gli 8.000 euro non fossero una tangente, ma un prestito personale. Una cifra che, a suo dire, nulla avrebbe a che fare con il ruolo ricoperto nell’ambito della gara bandita da SCR, né con la possibilità di influenzare la commissione. La tesi – già illustrata ai finanzieri e oggi riproposta davanti ai giudici – si fonda su un rapporto privato, distinto dagli incarichi istituzionali e dalle relazioni di natura professionale. Per l’accusa, però, quella spiegazione non regge: la modalità della consegna, il contesto, il ruolo del funzionario e la tempistica lasciano pensare a una dinamica incompatibile con un semplice prestito tra conoscenti.

Nel fascicolo, oltre alle intercettazioni, ci sono gli atti della gara, i riscontri raccolti nel giorno del sequestro e le testimonianze degli agenti intervenuti. Il tribunale dovrà ora valutare la solidità delle prove, la credibilità delle versioni e la cornice in cui quel passaggio di denaro si è inserito: se come un gesto privato privo di conseguenze sulla pubblica amministrazione o come l’ingranaggio di un meccanismo di scambio illecito finalizzato a orientare un appalto pubblico.

Per Nichelino, quella scatola ritrovata nel 2020 è rimasta un simbolo ingombrante, capace di riaprire riflessioni sulla trasparenza nella gestione degli appalti e sulla permeabilità delle commissioni giudicatrici a pressioni esterne. Oggi, in aula, quel simbolo torna al centro della scena. È sulle motivazioni reali di quei 8.000 euro che si giocherà la parte decisiva del processo.

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