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Cronaca
26 Novembre 2025 - 14:32
Aggressione in metro a Torino: fotografo colpito durante il corteo di "Non una di meno"
Il paradosso più amaro della giornata è tutto in una scena: nel momento in cui Torino celebrava la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, dentro un vagone della metropolitana un gesto improvviso ha infranto quel perimetro simbolico fatto di memoria, diritti e partecipazione. Alla fermata Marconi, dove la manifestazione di Non una di meno aveva bloccato temporaneamente il servizio, un uomo ha aggredito un fotografo collaboratore dell’agenzia LaPresse, colpendolo con un pugno dopo aver distrutto la macchina fotografica a terra per più volte. Il professionista è stato soccorso e trasportato in ospedale.
La dinamica, così come riferita, appare rapida e violenta. L’uomo, in compagnia della propria compagna, avrebbe iniziato prima a inveire contro alcune delle donne presenti nel vagone, già gremito per la protesta. La tensione è salita all’istante. Quando il fotografo ha alzato la macchina per documentare, la reazione dell’aggressore è stata fulminea: il gesto di scaraventare l’attrezzatura a terra più volte, come fosse un bersaglio da annientare, e subito dopo quel pugno diretto che ha trasformato un diverbio in un’aggressione vera e propria. La macchina fotografica è stata distrutta, il diritto di cronaca colpito insieme all’incolumità fisica di chi stava lavorando.
La scena è avvenuta nel contesto di una giornata particolarmente simbolica per la città. Le strade erano percorse da migliaia di persone che avevano scelto di unirsi alla mobilitazione contro la violenza di genere, una delle ricorrenze civili più sentite e più partecipate dell’anno. Per le attiviste la chiusura temporanea della fermata metropolitana rientrava nelle forme di protesta non violenta e compartecipata. In quel perimetro, però, l’irruzione di un gesto individuale ha ribaltato la cornice civile che dovrebbe proteggere ogni manifestazione, soprattutto una che nasce proprio per rifiutare sopraffazione e brutalità.
Resta l’amarezza per il significato più profondo dell’accaduto. Colpire un fotoreporter, oltre al danno fisico e materiale, significa tentare di spegnere una voce, impedire uno sguardo, azzittire quel lavoro che permette alla collettività di vedere, capire, valutare. Il diritto di cronaca è un presidio democratico tanto quanto il diritto di manifestare. E quando un atto di violenza lo ostacola, si colpiscono insieme entrambe le libertà.
Il contesto in cui tutto è avvenuto pone anche alcune domande che soltanto gli sviluppi successivi potranno chiarire. Non è stato reso noto se le forze dell’ordine siano intervenute nell’immediato, né se l’uomo sia stato identificato o allontanato dopo l’aggressione. Le informazioni disponibili si arrestano al momento del soccorso, con il fotoreporter portato in ospedale per le cure necessarie.
Ciò che resta, ora, è il gesto stesso, un atto che pesa proprio perché avvenuto nel giorno meno compatibile con la violenza. Una manifestazione che nasce per rivendicare sicurezza e rispetto si è trovata a fare i conti con l’esatto contrario, mentre Torino cercava di raccontare il proprio impegno contro i femminicidi e gli abusi. Nel vagone della metro, la contesa verbale che si è trasformata in aggressione rappresenta il volto più irragionevole e pericoloso di un tempo in cui anche gli spazi pubblici dedicati ai diritti possono diventare fragili.
La vicenda impone una riflessione più ampia sulla tutela dei lavoratori dell’informazione, spesso in prima linea durante proteste, raduni, assemblee, luoghi dove l’emotività è alta e gli equilibri possono rompersi in un istante. Quando accade, è fondamentale chiarire responsabilità, garantire trasparenza e proteggere chi documenta. Perché la sicurezza di chi manifesta e quella di chi racconta non sono due capitoli separati, ma parti della stessa architettura civile.

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