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Cronaca

Ombre su Sarajevo, la Procura di Milano accelera: al via le audizioni sui “cecchini del weekend”

L’Italia al centro dell’inchiesta più oscura della guerra bosniaca: ex agenti, documentario e tracce negli archivi del Sismi

Ombre su Sarajevo, la Procura di Milano accelera: al via le audizioni sui “cecchini del weekend”

Ombre su Sarajevo, la Procura di Milano accelera: al via le audizioni sui “cecchini del weekend” (foto di repertorio)

L’inchiesta milanese sui cosiddetti “cecchini del weekend”, uomini europei — anche italiani — che negli anni più feroci dell’assedio di Sarajevo avrebbero pagato per sparare ai civili dalle postazioni serbo-bosniache, entra nella fase decisiva. La prossima settimana partiranno le prime audizioni dei testimoni convocati nella Procura guidata da Marcello Viola, con il fascicolo affidato al pm Alessandro Gobbis e ai carabinieri del Ros, impegnati nella ricostruzione di uno dei capitoli più oscuri e indicibili del conflitto nei Balcani.

A trent’anni dalla guerra, la pista italiana prende corpo attraverso una serie di indizi, testimonianze e documenti citati da chi — all’epoca — operava nei servizi segreti della Bosnia. È stato lo scrittore Ezio Gavazzeni a riaccendere i riflettori sulla vicenda con un esposto dettagliato, corredato da dichiarazioni raccolte da un ex agente dell’intelligence bosniaca, Edin Subasic, che sostiene di aver avuto interlocuzioni dirette con il Sismi, il vecchio servizio segreto militare italiano. Secondo la sua versione, all’inizio del 1994 i servizi di Roma sarebbero stati informati dell’esistenza del “safari” e avrebbero individuato il punto di partenza dei tiratori: Trieste. A quel punto, sempre secondo l’ex 007, il traffico sarebbe stato interrotto.

L’inchiesta della Procura di Milano mira proprio a verificare questa possibile traccia istituzionale. Gli inquirenti hanno già avviato richieste formali per acquisire documenti all’ex Sismi — oggi Aisi — e stanno attivando canali internazionali, con una particolare attenzione agli archivi del Tribunale penale internazionale dell’Aia, dove sono custodite migliaia di atti sull’assedio di Sarajevo e sulle responsabilità militari dei comandi serbo-bosniaci.

Nell’esposto vengono citati anche i racconti raccolti per il documentario “Sarajevo Safari”, uscito nel 2022, che per primo portò alla luce la figura dei “tiratori turistici”. Nel film compaiono almeno cinque persone che sostenevano di essere a conoscenza dell’esistenza di uomini occidentali pronti a pagare per sparare sui civili bosniaci. La stessa ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic, ha fatto sapere di avere già presentato una denuncia in patria, senza che l’iniziativa trovasse seguito.

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Il lavoro degli investigatori italiani punta a ricostruire i viaggi dei presunti tiratori. Secondo quanto già depositato, i “cecchini del weekend” avrebbero acquistato biglietti aerei per raggiungere Belgrado, da dove sarebbero stati prelevati con elicotteri militari e trasportati sulle alture che dominavano Sarajevo. Una dinamica che, se confermata, indicherebbe un’organizzazione logistica precisa, non compatibile con l’azione di poche persone isolate. Il documento parla anche di flussi di denaro, in parte ufficiali e in parte in nero, a suggerire una struttura criminale dotata di appoggi e protezioni.

Tra gli elementi da accertare ci sarebbe anche la testimonianza di un militare serbo prigioniero, che avrebbe raccontato di aver assistito di persona al trasporto di uno di questi “cacciatori”, descrivendo uomini provenienti da Milano, Torino e Trieste. Dichiarazioni tutte da verificare, ma ritenute di rilievo investigativo.

Sullo sfondo resta un ulteriore fronte ancora aperto: la denuncia annunciata dal giornalista croato Domagoj Margetic, che chiamerebbe in causa addirittura il presidente serbo Aleksandar Vucic, all’epoca giovane volontario nelle strutture serbo-bosniache. La Procura di Milano attende di ricevere formalmente il documento.

La prossima settimana sarà dunque il banco di prova dell’inchiesta italiana, con le prime deposizioni e un lavoro che promette di scandagliare archivi, testimonianze e vecchi dossier. Il passaggio decisivo sarà verificare se negli archivi dell’ex Sismi esistano effettivamente documenti — magari classificati — in grado di confermare l’interruzione del “safari” nel 1994 e, soprattutto, di indicare nomi, responsabilità e complicità di cittadini italiani.

L’Italia rischia di trovarsi a fare i conti con un’ombra lunga quasi trent’anni, rimasta finora confinata ai margini della memoria pubblica. L’inchiesta di Milano prova ora a colmare quel vuoto.

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