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Cronaca

I Cecchini del Weekend: il racconto che sconvolge l’Italia, “il Sismi sapeva e li fermò”

Da Trieste partivano i voli per il massacro di Sarajevo. Ora la Procura di Milano cerca le carte segrete con i nomi dei killer

Cecchino

Cecchino (repertorio)

L’ombra più oscura della guerra in Bosnia riemerge trent’anni dopo, con nuove rivelazioni che toccano anche l’Italia. Secondo la testimonianza di un ex agente dei servizi segreti bosniaci, l’intelligence militare italiana (Sismi) avrebbe scoperto e bloccato, all’inizio del 1994, i viaggi dei cosiddetti “cecchini del weekend”, uomini che — pagando somme ingenti — partivano da Trieste per andare a sparare su civili a Sarajevo, durante l’assedio serbo-bosniaco.

Il racconto è stato raccolto dallo scrittore Ezio Gavazzeni, che nei mesi scorsi ha presentato un esposto alla Procura di Milano, portando all’apertura di un’inchiesta per omicidio plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà. A condurla è il pm Alessandro Gobbis, con le indagini affidate al Ros dei Carabinieri.

Nella testimonianza, l’ex 007 bosniaco scrive: «I servizi bosniaci hanno saputo del ‘safari’ alla fine del 1993. Abbiamo informato il Sismi all’inizio del 1994 e ci hanno risposto in 2-3 mesi: “Abbiamo scoperto che il safari parte da Trieste. L’abbiamo interrotto e il safari non avrà più luogo”».

L’agente, indicato con nome e cognome, aggiunge che «dopo quell’intervento non ricevemmo più informazioni sul ripetersi del safari. Non abbiamo ottenuto dal Sismi i nomi dei cacciatori o degli organizzatori, ma dovrebbe esserci un documento che attesta la scoperta e l’interruzione dell’operazione nella prima metà del 1994».

Un cartello con scritto "Attenzione ai cecchini" a Sarajevo, assediata dalle forze serbo-bosniache. L'assedio durò dal 5 aprile del 1992 al 29 febbraio 1996, tre mesi dopo gli accordi di Dayton che misero fine ufficialmente alla guerra in Bosnia ed Erzegovina (la storia potete leggerla qui). La foto è del 13 luglio 1992 (AP Photo/Martin Nangle)

Queste carte, che potrebbero contenere identificazioni di cittadini italiani coinvolti, sarebbero state conservate negli archivi dell’ex servizio segreto militare. È su di esse che ora si concentra l’inchiesta milanese, che ieri ha tenuto un vertice operativo tra inquirenti e investigatori. Gli uomini del Ros hanno iniziato ad acquisire documenti anche dal Tribunale penale internazionale dell’Aia per l’ex Jugoslavia, dopo l’esposto presentato dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini.

Tra i racconti raccolti, uno dei più inquietanti è quello di un soldato serbo catturato, che avrebbe riferito all’ex agente bosniaco di aver “assistito personalmente al trasporto di uno dei cacciatori”. Quel testimone, ritenuto oculare, parlava di italiani arrivati da Milano, Torino e Trieste.

Lo stesso ex 007 ha inoltre raccontato che, durante la preparazione del documentario “Sarajevo Safari” del 2022, era prevista un’intervista con un pilota di elicottero che trasportava i “cacciatori” da Belgrado, ma l’uomo rinunciò poco prima delle riprese dopo essere stato «minacciato».

«Temo che non sia possibile trovare la corrispondenza tra il Sismi e i servizi bosniaci», ha scritto ancora l’ex agente. «Non sono riuscito a trovarla negli archivi militari di Sarajevo: i documenti sono classificati come Top Secret».

Anche l’ex sindaca di Sarajevo Benjamina Karic, disposta a testimoniare nell’inchiesta milanese, ha spiegato di aver «inoltrato un esposto alla magistratura bosniaca, ma senza risultato».

Ora Gavazzeni chiede che la magistratura italiana verifichi se negli archivi dell’ex Sismi esista una copia della documentazione, che potrebbe contenere i nomi degli italiani coinvolti nei viaggi dei cecchini. Secondo il suo esposto, quei “tiratori turistici” avrebbero volato con compagnie aeree serbe, raggiungendo Belgrado, dove li attendevano i collegamenti in elicottero per Sarajevo.

«Doveva esserci un passaggio di denaro, una parte in chiaro e una in nero», si legge ancora nel documento. «È difficile pensare che un traffico di questo tipo non sia stato registrato dai nostri servizi».

Tra le fonti citate nell’esposto figura anche la testimonianza di un ufficiale dei servizi segreti sloveni, che avrebbe riferito di aver ascoltato “ricchi stranieri amanti di imprese disumane” discutere di compensi più alti «per chi riusciva a sparare a un bambino».

Nel fascicolo viene inoltre menzionato il libro “I bastardi di Sarajevo” del giornalista Luca Leone, pubblicato nove anni fa, che già documentava episodi simili.

L’indagine, che oggi muove i primi passi, punta a chiarire uno dei capitoli più atroci e rimossi della guerra balcanica, in cui l’Italia rischia di scoprire di aver avuto un ruolo più vicino di quanto si sia mai voluto ammettere.

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