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Pam, tre licenziamenti per il finto cliente: quando il test diventa trappola

Pressioni, provocazioni e dipendenti trattati come vigilantes: sindacati in rivolta contro un metodo che trasforma il lavoro in un agguato aziendale

Licenziati dopo il “furto fasullo”

Licenziati dopo il “furto fasullo”: il caso Pam esplode e smaschera il lato oscuro dei test-trappola nei supermercati

C’è qualcosa di profondamente storto quando un supermercato trasforma la quotidianità di chi lavora in una sorta di reality aziendale, in cui chi sbaglia paga con lo stipendio. È quello che sta succedendo nei punti vendita Pam tra Siena e Livorno, dove tre dipendenti sono stati licenziati perché non hanno individuato articoli “nascosti” nel carrello da ispettori dell’azienda travestiti da clienti. Un “test”, lo chiamano. Ma il meccanismo, raccontato dalle sigle sindacali e dalle prime ricostruzioni, somiglia più a una trappola orchestrata a tavolino.

Il primo caso è esploso a Siena, nello store della stazione, dove un cassiere è stato cacciato per non aver notato alcuni prodotti occultati nel carrello di un cliente fasullo. Poi è toccato a due lavoratori di Livorno, uno del punto vendita di via Roma, l’altro del quartiere Corea. Tre licenziamenti nel giro di pochi giorni, tutti con la stessa dinamica: l’ispettore nasconde merce, simula un furto, passa alla cassa, il dipendente non segnala nulla. Risultato: via, senza appello.

Sembra la trama di un esercizio di controllo ossessivo, non una normale procedura aziendale. E infatti i sindacati reagiscono con parole pesantissime. Sabina Bardi di UilTucs Toscana denuncia «provocazioni alla cassa, pressioni psicologiche. Una trappola studiata per far sbagliare e licenziare». Non parla di errori, ma di un meccanismo scientificamente costruito per creare il “fallimento” del dipendente. Massimiliano Fabozzi, segretario Filcams Cgil Siena, aggiunge che questi sistemi «mettono in difficoltà i lavoratori, che non sono poliziotti». È un’osservazione ovvia, eppure necessaria: al cassiere è richiesto di battere codici, gestire clienti, controllare prezzi, risolvere problemi con i pos, e tutto a ritmi serrati. Pretendere che svolga anche il ruolo di guardia giurata, con l’ansia costante di dover smascherare trappole costruite dall’azienda stessa, è una forzatura che sfiora l’abuso.

Il punto politico è tutto qui. Se un cliente nasconde volontariamente un prodotto – e qui si parla addirittura di un cliente “costruito” – la responsabilità non può ricadere sul lavoratore che, tra una fila interminabile e un terminale che si blocca, magari non vede un pacco infilato sotto una borsa. «Non può essere accusato di complicità o licenziato per giusta causa: c’è un problema di democrazia», insiste Fabozzi. Una frase dura, ma che restituisce l’idea di un clima aziendale che trasforma il controllo interno in un processo punitivo permanente.

L’azienda non commenta nel dettaglio, ma parlano i fatti: la pratica del “finto cliente” è nota da tempo nella grande distribuzione, usata spesso per valutare cortesia e rapidità. Pam, però, sembra aver spostato il baricentro: non più una valutazione di servizio, ma una sorta di tana libera tutti giudiziaria, in cui scovare la “mancanza” del personale per giustificare allontanamenti, tagliare costi e mantenere un clima di perenne tensione.

E il paradosso si fa enorme quando si pensa a ciò che accade davvero nei supermercati italiani: furti continui, personale ridotto all’osso, vigilanza esternalizzata, turni massacranti. In questo contesto, Pam non investe su formazione, prevenzione, turni adeguati o più sicurezza: no. Preferisce perdere tempo e soldi per costruire agguati al proprio personale, per poi presentare il tutto come un test di efficienza.

Per i sindacati siamo davanti a un precedente pericoloso: se passa l’idea che la responsabilità dei furti – veri o falsi – ricade sui dipendenti, si apre una voragine di abusi. E non a caso la protesta cresce, coinvolgendo categorie e territori diversi. Perché il messaggio lanciato da questi licenziamenti è chiaro: non basta lavorare bene, bisogna anche sopravvivere alle prove di fedeltà aziendale.

Ed è qui che il caso diventa politico. Chi lavora nella grande distribuzione è spesso precario, malpagato, sottoposto a continue rotazioni di reparto, pressione commerciale e gerarchica. In questo scenario, usare test occulti per colpire tre dipendenti appare come un atto sproporzionato, aggressivo e profondamente ingiusto. Davvero un’azienda può decidere il destino delle persone in base a una messinscena?

Il caso Pam riapre un dibattito serio sul potere dei datori di lavoro, sulle pratiche borderline nella Grande Distribuzione Organizzata e sulla necessità di regole più chiare e controlli più stretti. Perché se il controllo diventa trappola, la disciplina diventa ricatto.

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