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18 Novembre 2025 - 17:38
Antonino Sottile
C’è un bilancio, quello della Città della Salute, che lo scorso 4 novembre è stato firmato con tanto di fotografi e sorrisi istituzionali dal direttore generale Livio Tranchida alla presenza di un assessore regionale felice come un puciu. E poi c’è la verità che avanza come una macchia d’umidità sul muro: la firma che davvero conta, quella del direttore regionale della Sanità Antonino Sottile, sul bilancio non c’è.
Non c’è oggi e nessuno sa dire se ci sarà domani. Un’assenza che pesa come un macigno, perché non si tratta di un gesto burocratico, ma di un atto politico e amministrativo che porta con sé responsabilità enormi. Se Sottile non firma, un motivo c’è. E non è un motivo piccolo. È l’ingombrante, irrisolto, tragico e imbarazzante nodo dei conti della libera professione, l’intramoenia, quella macchina di soldi e prestazioni che in Piemonte continua a navigare in acque sempre più torbide.
Il problema principale riguarda i 7,3 milioni di euro relativi al cosiddetto Fondo Balduzzi: il 5% delle tariffe che i pazienti pagano per le prestazioni private dei medici, soldi che dovrebbero essere destinati – per legge – alla riduzione delle liste d’attesa. Una legge chiara come il sole. Una norma che non ammette interpretazioni esoteriche. Eppure, nonostante ciò, quelle somme non risultano incassate dall’azienda tra il 2015 e il 2022. S e t t e m i l i o n i t r e c e n t o m i l a euro che non sono mai entrati. Una cifra che grida vendetta in un sistema sanitario che fa aspettare mesi per una risonanza e anni per una visita specialistica.

Thomas Schael
Per capire come ci si sia arrivati basta tornare indietro nel tempo. Era il 24 ottobre 2014 quando l’azienda e i sindacati dei medici firmarono un regolamento che recepiva integralmente la normativa Balduzzi: 5% su tutte le prestazioni, nessuna esclusa, come impone la legge. Fin qui tutto lineare.
Poi, come in ogni storia dove qualcuno ai piani alti comincia a fare magie, accade qualcosa di inspiegabile.
Il 17 febbraio 2015 tre dirigenti – il direttore generale Gian Paolo Zanetta, il sanitario Silvio Falco e l’amministrativa Andreana Bossola – firmano una delibera che stravolge quel regolamento appena sottoscritto.
Il 5% rimane soltanto sulle prestazioni ambulatoriali. Sparisce dai ricoveri. Sparisce dalle cliniche private. Spariscono, guarda un po’, i milioni di euro che negli anni avrebbero dovuto finanziare interventi per ridurre le liste d’attesa.
E il punto più surreale è che la delibera del 2015 cita proprio gli accordi del 2014 come origine del nuovo regolamento, quando in realtà il regolamento del 2014 diceva esattamente l’opposto. Un paradosso, una contraddizione, un corto circuito amministrativo che nessuno ha mai spiegato. E quando nessuno spiega, di solito è perché le spiegazioni fanno male.
In mezzo a questo intreccio di atti che si contraddicono e di milioni che non arrivano, la Regione Piemonte mantiene un silenzio che assomiglia molto alla paura. Si dice, nei corridoi del grattacielo, che i tecnici stiano spulciando il bilancio come si sfoglia un testamento sospetto.
Si teme che la cancellazione dei 7,3 milioni sia stata troppo frettolosa, troppo comoda, troppo rischiosa dal punto di vista contabile. Si teme, soprattutto, che possa configurarsi un danno erariale enorme, perché un conto è sbagliarsi su una tabella Excel, un altro è non applicare per anni una trattenuta prevista dalla legge.
Chi sapeva? Chi ha firmato? Chi ha beneficiato? Domande che rimbalzano come pallottole senza che nessuno abbia il coraggio di mettersi davanti al bersaglio.
Il consulente incaricato da Tranchida, Davide Di Russo, quello del "cancellino" nel suo parere, non contribuisce certo a rasserenare il quadro. Scrive che il Fondo Balduzzi non veniva applicato nemmeno sulle prestazioni ambulatoriali dove pure, anche nel regolamento “modificato”, sarebbe stato obbligatorio. Insomma, non solo non trattenevano dove dovevano trattenere in base alla legge, ma non trattenevano nemmeno dove loro stessi avevano scritto di volere trattenere. Una gestione a dir poco ardita. Una gestione che, se accadesse in una qualsiasi azienda privata, farebbe scattare licenziamenti, denunce e forse anche manette. Qui invece si parla di “sviste”, “interpretazioni”, “problemi tecnici”. E nel frattempo la Procura della Repubblica ha già rinviato a giudizio 26 tra ex direttori e dirigenti.
In tutto questo scenario surreale, c’è chi ha provato a mettere ordine. L’ex commissario Thomas Schael si è rifiutato di firmare il bilancio proprio per la mancanza di chiarezza chiedendo che fosse un advisor di alto livello a mettere finalmente mano ai conti dell’intramoenia. Una richiesta sacrosanta. Indovinate com’è finita? Schael è stato mandato via in cinque mesi. Il bilancio è stato firmato dagli uffici. E l’advisor? Dimenticato. Ma oggi quella chiarezza che Schael chiedeva viene pretesa dagli stessi uffici regionali che allora avallarono la sua rimozione. Un intreccio degno di una farsa politica. Una farsa che, purtroppo, costa milioni di euro ai cittadini.
Mentre la Regione tergiversa, c’è chi alza la voce: il sindacato dei medici Cimo, ha incaricato un team legale di fare domande molto scomode. Perché, chiedono, i ricavi della libera professione sono calati del 4,58% tra il 2023 e il 2024, ma i compensi retrocessi ai medici sono crollati del 12,48%, quasi il triplo? Perché, se i costi complessivi dell’intramoenia diminuiscono, le competenze del personale amministrativo sono aumentate passando da 464mila a 752mila euro? E soprattutto: da dove sono saltati fuori quei 929mila euro accantonati sul Fondo Balduzzi nel 2023? Cimo parla chiaro: vogliamo vedere le tabelle, vogliamo i numeri, vogliamo capire. Prima di rivolgerci – scrivono i legali – ad altre autorità. La tensione è altissima. E la sensazione è che qualcuno stia cercando di guadagnare tempo.
E qui entra in scena il personaggio più assente ma più ingombrante di tutta la vicenda: l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi. L’uomo che da mesi ripete che la sanità piemontese è sotto controllo, che stiamo costruendo nuovi ospedali, che tutto procede bene e che le liste d’attesa sono “una priorità assoluta”.
Frasi buone per i post su instagram, certo. Ma in questa storia Riboldi appare per quello che è: un assessore che non vuole vedere, che non vuole sapere e soprattutto che non vuole chiedere conto. Mentre il bilancio della più grande azienda ospedaliera del Piemonte è bloccato perché qualcuno ha deciso di non applicare per anni un fondo obbligatorio per legge, Riboldi continua a occupare la scena con annunci generici e promesse scintillanti. Non una parola sul caso Balduzzi. Non una parola sui regolamenti cambiati. Non una parola sul rischio di danno erariale. Nulla. Il silenzio dell’assessore è il segnale politico più inquietante: non è disinteresse, è tenere la testa sotto la sabbia.
La verità è che questo bilancio racconta una storia sporca. Una storia di mancati controlli, di firme date e poi smentite, di soldi pubblici che dovevano servire ai cittadini e che invece non sono mai arrivati. Una storia che sta esplodendo oggi perché troppi, per troppo tempo, hanno preferito guardare altrove. E se oggi il direttore regionale Sottile non firma, è perché qualcuno – finalmente – teme di essere travolto. Non basteranno conferenze stampa, non basteranno slogan, non basterà la retorica dei “nuovi investimenti”. La Città della Salute ha un buco contabile enorme, ha un passato amministrativo che definire opaco è un complimento, ha procedure inconciliabili con la legge e ha un presente che nessuno vuole assumersi la responsabilità di certificare.
In un Piemonte dove la sanità è in crisi profonda, dove gli ospedali crollano a pezzi e le liste d’attesa continuano ad allungarsi, questi 7,3 milioni scomparsi sono l’emblema di un sistema che non funziona. Un sistema che non è stato ereditato, ma governato. E governato male. E se l’assessore Federico Riboldi non trova il coraggio di affrontare questa vicenda guardando negli occhi cittadini, medici e dirigenti, allora il problema non è soltanto il bilancio della Città della Salute. Il problema è la guida politica di un settore che dovrebbe essere la spina dorsale del Piemonte e che invece continua a vivere di omissioni, illusioni e silenzi colpevoli. Insomma, la verità è scritta in fondo a quel bilancio che nessuno vuole firmare: qui non mancano solo i soldi, qui manca la volontà di dire come stanno davvero le cose. E questa, per un’assessorato alla Sanità, è la mancanza più grave di tutte e meglio farebbe a rassegnare la delega...
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