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Cronaca
19 Novembre 2025 - 10:59
I "maghi" della sanità piemontese che giocavano alle tre carte con i bilanci della Città della salute
La sanità piemontese si guarda allo specchio e si dà degli schiaffi. Dopo anni di autocelebrazioni, piani strategici e conferenze stampa trionfali, i numeri della Città della Salute di Torino – il colosso che raggruppa le Molinette, il Sant’Anna, il Regina Margherita e il CTO – finiscono dove nessuno avrebbe mai voluto vederli: in tribunale.
Per dieci anni la Città della Salute ha raccontato al mondo una favola: bilanci in ordine, attività intramoenia efficiente, obiettivi raggiunti e premi di risultato elargiti come se piovesse. Una narrazione così perfetta che persino la Regione e l’Agenas, a leggerla, si saranno commosse. Peccato che, secondo i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni, fosse tutto il frutto di un gigantesco gioco delle tre carte: quello che si vede non è quello che c’è, e quello che c’è non è quello che si dichiara. Altro che eccellenza sanitaria: qui pare che l’unica cosa davvero performante fosse la fantasia amministrativa.
Sedici tra manager e direttori generali dovranno rispondere di falso in bilancio e danno erariale. Secondo la Procura di Torino, per un intero decennio – dal 2013 al 2023 – l’azienda avrebbe costruito bilanci “creativi”, trasformando crediti inesigibili in incassi e cancellando fondi per far quadrare i conti.
Il danno stimato oggi oscilla, secondo ricostruzioni diverse, dai 7,3 milioni contestati in sede penale ai 10 milioni della documentazione più recente, fino a stime tecniche che parlano perfino di 120 milioni nel complessivo arco temporale. Una forbice che fa venire il mal di testa, ma che conferma una cosa: quando i numeri non sono veri, tutto il resto si sfalda.
Il sistema, dicono gli inquirenti, era semplice. Semplice e geniale, se non fosse illegale: si prendevano i questionari Alpi – quelli che servono per monitorare la libera professione – e li si “aggiustava”. Un ritocchino qui, un numero abbellito là, una dichiarazione un po’ più brillante rispetto alla realtà.
Il risultato? Una fotografia impeccabile, peccato che fosse scattata con Photoshop. A compilare quei documenti c’era Davide Benedetto; ad avallarli Rosa Alessandra Brusco; a firmarli e mandarli a Torino e Roma i direttori generali Gian Paolo Zanetta, Silvio Falco e Giovanni La Valle. Tutti oggi imputati. Ma la domanda non è “chi firmava”: la domanda è “chi non lo sapeva?”. Secondo la procura, praticamente nessuno.
Il danno stimato è di circa 10 milioni di euro, di cui 7,5 legati alla libera professione intramoenia e alla mancata applicazione del decreto Balduzzi, che prevedeva una trattenuta del 5% a favore dell’azienda sanitaria. Una trattenuta che, secondo l’accusa, non è mai stata versata.
E infatti i numeri “creativi” non si fermavano certo al maquillage formale: nel 2014 l’azienda dichiarava di possedere una contabilità analitica da manuale universitario, così sofisticata da distinguere ogni singola voce di costo. Peccato che, dicono i pm, non esistesse. Dal 2015 al 2020 veniva certificata la presenza di un organismo di verifica dell’attività intramoenia: peccato che abbia funzionato solo nel 2017. Quanto alla trattenuta del 5% prevista dalla Balduzzi, dichiarata come applicata per anni, la procura è lapidaria: non era vero.
Durante la prima udienza preliminare, la Regione Piemonte si è costituita parte civile – e paradossalmente anche responsabile civile. Insieme a lei si sono schierati i sindacati dei medici Anaao Assomed, Aaroi-Emac, Cimo e persino l’attuale dirigenza della Città della Salute, che oggi si proclama “parte lesa” dalle gestioni precedenti. Tutte richieste accolte dal giudice. È la scena surreale di una sanità che litiga con se stessa: chi ieri avallava, oggi chiede i danni; chi un anno fa sosteneva la solidità dei conti, ora ringhia in tribunale per esserne stato tradito.
Gli imputati? Una lista che sembra più la scaletta di un congresso di management sanitario che la consegna degli avvisi di garanzia: Giovanni La Valle (oggi Asl To3), Gian Paolo Zanetta (Cottolengo), Silvio Falco, Beatrice Borghese, Nunzio Vistato, Valter Alpe (ora ad Alessandria), Rosa Alessandra Brusco, Davide Benedetto, Maria Albertazzi. Con loro anche il collegio sindacale, che secondo la Procura avrebbe “omesso di vedere”: Alessia Vaccaro, Renato Stradella, Paolo Biancone, Andreana Bossola, Giacomo Buchi, Andrea Remonato e Giuseppe Antonio Giuliano Stillitano. Insomma, una formazione completa: primari, dirigenti, tecnici, sindaci revisori. Si potrebbe quasi organizzare un convegno sul tema: “Come non controllare un bilancio sanitario”.
La prima udienza del processo è fissata per il 5 febbraio 2026, ma il terremoto contabile ha già prodotto le sue scosse. Solo una settimana fa il nuovo direttore generale Livio Tranchida e l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi si erano presentati sorridenti in conferenza stampa per annunciare che nel bilancio 2024 il fondo Balduzzi era stato “cancellato” perché “erroneamente iscritto” negli anni passati. Tradotto: secondo loro, quel fondo non doveva neppure esistere.
Peccato che il bilancio, a oggi, non sia ancora stato approvato definitivamente, manca la firma del direttore regionale della Sanità Antonino Sottile. Una prudenza sospetta, che solleva un dubbio inevitabile: non sarà che qualcuno stia aspettando di capire che aria tira in Tribunale prima di mettere la firma su un documento che potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol contabile?
Non c’è oggi e nessuno sa dire se ci sarà domani. Un’assenza che pesa come un macigno, perché non si tratta di un gesto burocratico, ma di un atto politico e amministrativo che porta con sé responsabilità enormi.
Perché se il Gup dovesse accogliere la tesi dei pm, cancellare il fondo Balduzzi si trasformerà in un suicidio amministrativo. Se invece dovesse prevalere la versione opposta, Tranchida e Riboldi potranno rivendicare la bandiera della “trasparenza ritrovata”. In ogni caso, la sensazione è che si navighi a vista, con il timone fermo e lo sguardo rivolto non ai conti, ma al calendario giudiziario.

L'assessore regionale alla sanità e l'ex commissario Thomas Schael
Ed è qui che torna un nome che molti speravano di aver archiviato: Thomas Schael. Fu lui, da commissario straordinario della Città della Salute, a bloccare l’approvazione del bilancio 2024. Non per capriccio, ma perché dopo un’analisi interna aveva scoperto un abisso tra conti ufficiali e realtà: un passivo che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe passato da –41 a oltre –55 milioni in poche settimane. Schael parlò apertamente di disordine amministrativo, di numeri ballerini e di una struttura incapace di garantire trasparenza e controllo. Aveva visto giusto. E aveva scelto di non firmare un documento che avrebbe potuto aggravare la situazione contabile, rendendo l’azienda ancora più vulnerabile – non solo sul piano economico, ma anche giudiziario e politico. Poi è arrivato il cambio di guardia, la Regione ha nominato Tranchida e Schael è stato liquidato come “troppo rigido”. Ma oggi, alla luce dei fatti, quella rigidità sembra avere un altro nome: lungimiranza.
Il paradosso è disarmante: la stessa Regione che si costituisce parte civile contro chi avrebbe falsificato i conti, aveva criticato chi quei conti si era rifiutato di firmarli. E così, mentre si tenta di riscrivere la storia contabile della sanità piemontese, i cittadini continuano a pagare il conto. Alle Molinette mancano infermieri, si chiudono reparti, si rinviano interventi, ma nei piani alti si discute ancora se un fondo da 7,5 milioni “doveva esserci o no”. La sanità pubblica si gioca sui numeri, ma qui i numeri non tornano mai.
In fondo, la lezione è semplice: puoi falsare un modulo, puoi ritoccare un questionario, puoi mandare a Roma un file che racconta una storia diversa. Ma prima o poi qualcuno – un pm, un tecnico, un revisore – ti chiederà conto di quello che hai scritto. E allora non basteranno più i bilanci truccati, le firme a catena e le foglie di fico burocratiche.
Perché i numeri, a differenza delle persone, non sanno mentire per sempre.
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