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Cronaca
10 Novembre 2025 - 15:32
Un altro scandalo sanitario. Sedici manager della "Città della salute" diTorino sotto processo e un bilancio “in sospeso”
La sanità piemontese si guarda allo specchio e si dà degli schiaffi. Dopo anni di autocelebrazioni, piani strategici e conferenze stampa trionfali, i numeri della Città della Salute di Torino – il colosso che raggruppa le Molinette, il Sant’Anna, il Regina Margherita e il CTO – finiscono dove nessuno avrebbe mai voluto vederli: in tribunale.
Sedici tra manager e direttori generali dovranno rispondere di falso in bilancio e danno erariale. Secondo la Procura di Torino (pm Mario Bendoni e Giulia Rizzo), per un intero decennio – dal 2013 al 2023 – l’azienda avrebbe costruito bilanci “creativi”, trasformando crediti inesigibili in incassi e cancellando fondi per far quadrare i conti.
Il danno stimato è di circa 10 milioni di euro, di cui 7,5 legati alla libera professione intramoenia e alla mancata applicazione del decreto Balduzzi, che prevedeva una trattenuta del 5% a favore dell’azienda sanitaria. Una trattenuta che, secondo l’accusa, non è mai stata versata.
Durante la prima udienza preliminare, la Regione Piemonte si è costituita parte civile – e paradossalmente anche responsabile civile. Insieme a lei si sono schierati i sindacati dei medici Anaao Assomed, Aaroi-Emac, Cimo e persino l’attuale dirigenza della Città della Salute, che oggi si proclama “parte lesa” dalle gestioni precedenti. Tutte richieste accolte dal giudice.

Giovanni La Valle
Gli imputati? Un elenco che sembra la scaletta di un convegno sanitario più che un’aula giudiziaria: Giovanni La Valle(oggi all’Asl To3), Gian Paolo Zanetta (Cottolengo), Silvio Falco, Beatrice Borghese, Nunzio Vistato, Valter Alpe(ora ad Alessandria), Rosa Alessandra Brusco, Davide Benedetto e Maria Albertazzi. Con loro anche il collegio sindacale, che secondo la Procura avrebbe “omesso di vedere”: Alessia Vaccaro, Renato Stradella, Paolo Biancone, Andreana Bossola, Giacomo Buchi, Andrea Remonato e Giuseppe Antonio Giuliano Stillitano.
La prima udienza del processo è fissata per il 5 febbraio 2026, ma il terremoto contabile ha già prodotto le sue scosse di assestamento. Solo una settimana fa, infatti, il nuovo direttore generale Livio Tranchida e l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi si erano presentati sorridenti in conferenza stampa per annunciare con orgoglio che nel bilancio 2024 il fondo Balduzzi era stato “cancellato”, perché “erroneamente iscritto” negli anni passati. Tradotto: secondo loro, quel fondo non doveva neppure esistere.
Peccato che il bilancio, a oggi, non sia ancora stato pubblicato. Una prudenza sospetta, che solleva un dubbio inevitabile: non sarà che qualcuno stia aspettando di capire che aria tira in Tribunale prima di mettere la firma su un documento che potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol contabile?
Niente di tutto questo. Semplicemente dopo la firma è passato al setaccio del Collegio sindacale e andrà in pubblicazione, si presume domani.
Detto questo, se il Gup dovesse accogliere la tesi dei pm, cancellare il fondo Balduzzi si trsformerà in un suicidio amministrativo. Se invece dovesse prevalere la versione opposta, Tranchida e Riboldi potranno rivendicare la bandiera della “trasparenza ritrovata”. In ogni caso, la sensazione è che si navighi a vista, con il timone fermo.
E qui entra in scena un nome che molti credevano archiviato: Thomas Schael. Fu lui, da commissario straordinario della Città della Salute, a bloccare l’approvazione del bilancio 2024. Non per capriccio, ma perché dopo un’analisi interna aveva scoperto un abisso tra conti ufficiali e realtà. Un passivo che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe passato da −41 a oltre −55 milioni in poche settimane. Schael parlò apertamente di disordine amministrativo, di numeri ballerini e di una struttura incapace di garantire trasparenza e controllo.
Aveva visto giusto. E aveva scelto di non firmare un documento che avrebbe potuto aggravare la situazione contabile, rendendo l’azienda ancora più vulnerabile – non solo sul piano economico, ma anche giudiziario e politico. Poi è arrivato il cambio di guardia, la Regione ha nominato Tranchida e Schael è stato liquidato come “troppo rigido”. Ma oggi, alla luce dei fatti, quella rigidità sembra avere un altro nome: lungimiranza.
Il paradosso, ora, è che la stessa Regione che si costituisce parte civile contro chi ha falsificato i conti, aveva criticato chi quei conti si era rifiutato di firmarli.
E così, mentre si tenta di riscrivere la storia contabile della sanità piemontese, i cittadini continuano a pagare il conto. Alle Molinette mancano infermieri, si chiudono reparti, si rinviano interventi. Ma nei piani alti si discute ancora se un fondo da 7,5 milioni “doveva esserci o no”.
La sanità pubblica si gioca sui numeri, ma qui i numeri non tornano mai.
Insomma, aveva ragione Schael. E finché un giudice non dirà che cosa ne pensa la sensazione è che tutti stiano solo aspettando di capire da che parte stare.
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