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Cronaca
15 Novembre 2025 - 14:24
«State tranquilli, qui da noi la polizia non è attenta. Sono dei minchioni». Con queste parole un 26enne torinese cercava di rassicurare i suoi complici, convinto di essere al sicuro mentre gestiva un vasto traffico internazionale di droga tra l’Italia, il Vietnam e la Thailandia. A tradirlo è stata proprio quella sicurezza ostentata: dopo mesi di indagini coordinate dalla Procura di Asti e condotte congiuntamente dalla polizia e dai carabinieri, il giovane è stato arrestato e trasferito in Italia.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il ragazzo, residente a Cambiano, aveva costruito un vero e proprio “supermercato virtuale degli stupefacenti”, accessibile dal web. Usando un visto da nomade digitale, si spostava liberamente tra i tre Paesi asiatici, dirigendo da remoto l’intera rete di distribuzione. Dalle sue basi operative coordinava la vendita e la spedizione di hashish, cocaina, eroina, ketamina, oppio e Lsd, che arrivavano in Italia tramite il servizio postale internazionale e venivano depositati in locker automatizzati per la consegna.
Un sistema ingegnoso e apparentemente sicuro, ma non abbastanza da sfuggire agli investigatori. Ad aiutarlo, secondo quanto emerso, c’era un gruppo di amici di vecchia data, incaricati di ricevere e smistare la merce. Tutti sono stati arrestati uno dopo l’altro in flagranza di reato, mentre il loro capo continuava a vantarsi della propria impunità.

Quando anche l’ultimo dei collaboratori è finito in manette, il 26enne ha tentato di sostituirsi a loro, prendendo personalmente in mano la gestione degli ordini e delle spedizioni. Ma la rete attorno a lui si stava già stringendo. Dopo l’ennesima retata, ha scelto la fuga all’estero, stabilendosi temporaneamente in Thailandia, dove sperava di far perdere le proprie tracce.
Dieci giorni fa, però, le autorità italiane, in collaborazione con la polizia locale, lo hanno rintracciato a Bangkok. Arrestato e trattenuto per accertamenti, ha poi chiesto di rientrare in Italia, dove è stato preso in consegna dalla polizia all’aeroporto di Milano Malpensa e successivamente condotto nel carcere di Busto Arsizio.
Un’operazione complessa e transnazionale, che ha messo fine a un traffico gestito con modalità moderne ma radicate nella tradizionale logica del crimine organizzato: fiducia cieca nei complici, disprezzo per le forze dell’ordine e la convinzione di essere più furbi degli altri. Stavolta, però, la frase con cui il giovane amava irridere gli investigatori — “la polizia non è attenta” — è diventata l’emblema della sua disfatta.
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