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Cronaca
14 Novembre 2025 - 22:05
Addio a Luciano Casadei, il promoter che portò Madonna in Italia e riscrisse le regole dei grandi concerti
Torino perde Luciano Casadei, uno degli organizzatori che hanno segnato in modo più netto l’arrivo della musica internazionale in Italia. Era lo storico promoter che negli anni Settanta e Ottanta contribuì a portare nel Paese Madonna, Joe Cocker, Lou Reed, James Brown, Genesis, Ray Charles e molti altri artisti che, fino a quel momento, sembravano lontani dal circuito italiano. La conferma della sua morte è arrivata oggi, 14 novembre, riportando immediatamente l’attenzione su una carriera lunga, intensa e profondamente intrecciata con la vita culturale e politica torinese.
Casadei aveva iniziato il suo percorso nelle file del Pci, dove fu anche segretario della Fgci. In quel contesto comprese presto che la musica poteva diventare un linguaggio utile a parlare a una generazione che non rispondeva più agli schemi tradizionali. Il suo contributo fu decisivo per aprire le Feste dell’Unità torinesi ai concerti rock, un’operazione che negli anni Settanta non era affatto scontata. In un periodo in cui quel genere veniva considerato distante dall’impegno politico, Casadei sostenne l’idea che la musica popolare potesse avvicinare nuovi pubblici.
Nel 1977 acquisì Radio Flash e la trasformò in un punto di riferimento per la comunicazione giovanile della città. La radio divenne una piattaforma in cui far circolare idee, sperimentazioni e nuove voci. Fu il passaggio che segnò l’avvio di un percorso più ampio, destinato a consolidarsi sul piano nazionale.
Alla fine del decennio fondò l’agenzia Metropolis, con cui iniziò a organizzare tournée che ancora oggi vengono ricordate come eventi simbolo. Nel 1979 si occupò della storica tournée Banana Republic, che vide Lucio Dalla e Francesco De Gregori dividere il palco in una serie di date che segnarono la musica italiana. Nel 1980 curò l’arrivo in Italia di Bob Marley, un evento che ancora oggi rappresenta uno dei momenti più citati della storia del reggae nel Paese. Due anni più tardi, nel 1982, portò i Rolling Stones in una data che coincideva con la finale dei Mondiali poi vinti dall’Italia: una sovrapposizione che, da sola, testimonia la portata dell’evento.
Casadei non si limitò agli artisti internazionali. Nella sua agenda compaiono molti dei nomi che hanno definito l’identità musicale italiana del secondo Novecento: Fabrizio De André, Franco Battiato, Francesco Guccini, Vasco Rossi, Claudio Baglioni. Una varietà che racconta la sua capacità di muoversi tra generi diversi mantenendo sempre un’idea precisa: portare sul palco ciò che poteva avere un impatto reale sul pubblico.
Oggi, a ricordarlo, è anche la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, che affida all’ANSA un messaggio diretto. «Luciano Casadei ebbe il merito di anticipare una visione culturale che associava la musica all’impegno politico, insegnando alla sinistra ad aprire le proprie porte e a cambiare i propri linguaggi per intercettare una nuova ondata di militanza», afferma. Parole che restituiscono il ruolo di Casadei in una fase in cui la musica non era soltanto intrattenimento, ma anche un modo per influenzare la società.
Rossomando aggiunge: «Persona perbene dal carattere sanguigno, Casadei seppe coniugare capacità imprenditoriale, impegno politico e visione, influenzando in modo tangibile interi decenni della storia politica e culturale della sinistra, in particolare nella nostra città, ma conservando un carattere schivo e riservato. Lo salutiamo ricordando le tante ore della nostra giovinezza passate in concerti memorabili sognando un mondo migliore di cui potevamo essere parte attiva».
Il percorso di Casadei non si è sviluppato attraverso dichiarazioni pubbliche o esposizioni personali. È stato un lavoro costruito dietro le quinte, con contratti, trattative, prove, trasferte, problemi tecnici e soluzioni rapide. La sua influenza non è mai passata dall’immagine, ma dalla sostanza. Ha contribuito a portare in Italia eventi che hanno cambiato il modo di fare musica live e, allo stesso tempo, ha imposto alla politica la necessità di aggiornare il proprio rapporto con i linguaggi della cultura.
La sua morte apre una riflessione su un’epoca in cui l’organizzazione di un concerto non era solo un’operazione tecnica ma un’azione culturale. Casadei ha lasciato una traccia che emerge nei festival, nelle programmazioni e nelle relazioni tra pubblico e musica che ancora oggi vivono di quell’eredità.
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