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Cronaca

Omicidio di Collegno, l’ultimo audio di Marco prima di morire: “C’è un tipo incappucciato”. Poi il silenzio

Un messaggio vocale di pochi secondi rivela la paura e la lucidità della vittima. Michele Nicastri, informatico e nuovo compagno della ex di Veronese, accusato di omicidio premeditato

Omicidio di Collegno, l’ultimo audio di Marco prima di morire: “C’è un tipo incappucciato”. Poi il silenzio

Marco Veronese, a sinistra, e Michele Nicastri

C’è un tipo incappucciato, è uno che già l’anno scorso stava qua… mi ha bucato le gomme l’altra volta. Stavolta ho il coltello e lo buco io.
L’ultimo messaggio vocale di Marco Veronese dura pochi secondi, ma contiene tutta la tensione di una paura che stava per diventare tragedia.

È la voce di un uomo che sente l’ombra del pericolo addosso, che intuisce un rischio ma non immagina di avere davanti i suoi ultimi minuti di vita. Pochi istanti dopo, nella notte tra il 22 e il 23 ottobre, Veronese – imprenditore di 39 anni, padre di tre figli – viene accoltellato a morte sotto casa dei genitori a Collegno. A colpirlo, secondo la Procura di Torino, è Michele Nicastri, 49 anni, nuovo compagno della sua ex, Valentina Becuti.

Quella sera, Marco aveva cenato con un’amica d’infanzia. Poi, tornando a casa, nota una figura incappucciata nei pressi dell’abitazione. È lo stesso uomo che mesi prima gli aveva tagliato le gomme dell’auto. L’audio nasce da quell’attimo di sospetto, da una paura antica che si riaccende improvvisamente. In pochi minuti, tutto precipita: Veronese viene aggredito, colpito al torace e all’addome. Quando i soccorsi arrivano, è già troppo tardi.

Per gli inquirenti non c’è dubbio: Nicastri lo aspettava. Le telecamere della zona, analizzate dal Nucleo investigativo dei Carabinieri di Torino, lo mostrano mentre segue la vittima per diversi metri, poi la raggiunge e colpisce con violenza. Un’aggressione fredda, calcolata, portata a termine con lucidità. E infatti, secondo la Procura, l’uomo avrebbe agito con premeditazione. Ha lasciato il telefono a casa per non essere localizzato. Da esperto informatico, sapeva come depistare eventuali tracciamenti digitali. Ma non ha potuto cancellare le immagini catturate dalle videocamere, che hanno tracciato il percorso della sua auto per tutta la notte.

Dopo l’omicidio, Nicastri sarebbe rientrato a casa, cambiandosi e liberandosi dei vestiti e dell’arma, poi gettati nella Dora Riparia. Ferito a un braccio, si è fatto medicare in Francia due giorni dopo, prima di rifugiarsi nella casa di famiglia a Bardonecchia, dove ha trascorso dodici giorni da fuggitivo. I carabinieri lo tenevano già sotto osservazione. Quando il 3 novembre è tornato a Torino, lo hanno fermato.

Davanti al pm Mario Bendoni, Nicastri ha confessato: “Volevo solo impedirgli di prendere i bambini, non volevo ucciderlo.” Una giustificazione che per la Procura non regge. Le prove raccolte – dalle telecamere alle tracce biologiche – indicano un piano preparato nei dettagli, spinto da gelosia e controllo. “Volevo che lei vivesse tranquilla”, avrebbe detto riferendosi a Valentina. Poi, quasi incredulo: “Non capisco come io abbia potuto farlo.

Quella gelosia covava da anni. Nicastri aveva conosciuto Valentina quando era ancora sposata con Marco. Ne era diventato confidente, ascoltatore silenzioso delle sue difficoltà. Quando la relazione tra i due era finita, lui aveva colto l’occasione. Ma quel sentimento, nato come rifugio, si era trasformato in ossessione. Secondo chi li conosceva, non sopportava l’idea che Veronese continuasse a far parte della vita della donna per via dei figli. Ne parlava spesso, con toni sempre più tesi. L’omicidio, per gli investigatori, è la conseguenza estrema di un controllo malato.

Il 6 novembre, nell’udienza di convalida, Nicastri ha ripetuto di non aver voluto uccidere. Ma la Procura di Torino ha chiesto la custodia cautelare in carcere, contestando la premeditazione e i futili motivi. Gli investigatori ritengono che l’uomo avesse attirato Veronese in un incontro, armato e pronto ad agire. Le coltellate – numerose e concentrate – parlano di un’aggressione senza difesa possibile. “Non una lite degenerata, ma un agguato”, sintetizzano gli inquirenti.

L’avvocata Chiara Gatto, che assiste Nicastri, tenta di smontare la tesi accusatoria. “Il mio cliente è distrutto, consapevole di ciò che ha fatto, ma non ha premeditato nulla”, sostiene. Una linea difensiva che punta a ottenere una riqualificazione dell’accusa e a evitare l’ergastolo.
Intanto i carabinieri continuano ad analizzare i tabulati telefonici dei tre protagonisti e le immagini delle telecamere private della zona, nella speranza di chiarire i minuti precedenti l’aggressione.

A Collegno, il nome di Marco Veronese pesa come un’assenza che non si spiega. Chi lo conosceva parla di un uomo riservato, dedito al lavoro e ai figli, che non cercava conflitti. Era un imprenditore nel settore della videosorveglianza. I residenti di via Sabotino ricordano quella notte come un lampo improvviso di violenza.

Una lite di pochi secondi, grida, poi il silenzio.

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