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Cronaca

Assolto il 48enne fermato con un documento falso: “Era solo di passaggio”

Un 48enne algerino fermato a Bardonecchia con una carta d’identità belga contraffatta. La Cassazione conferma: sentenza corretta, comportamento collaborativo e condotta occasionale

Assolto il 48enne

Assolto il 48enne fermato con un documento falso: “Era solo di passaggio”.

Era stato fermato alla frontiera di Bardonecchia, durante un controllo della polizia in un’operazione contro l’immigrazione irregolare. In tasca aveva una carta d’identità belga apparentemente valida per l’espatrio, ma rivelatasi poi falsa. Nonostante ciò, il suo caso non è finito con una condanna: il tribunale di Torino lo ha assolto riconoscendo la particolare tenuità del fatto, e la Cassazione ha confermato la decisione, respingendo il ricorso della procura generale.

Il protagonista della vicenda è un 48enne di origine algerina, senza precedenti penali né di polizia. Al momento del controllo, l’uomo avrebbe mostrato spontaneamente il documento e spiegato di trovarsi in Italia “solo di passaggio”, perché “era venuto per un matrimonio”. Una giustificazione giudicata poco credibile dalla procura, che aveva insistito sull’improbabilità della versione e sul fatto che i documenti di identità falsi provengano da organizzazioni specializzate, ma che per i giudici non è bastata a ribaltare l’assoluzione.

Il tribunale di Torino, lo scorso 13 febbraio, aveva valutato la condotta come occasionalmente irregolare, sottolineando la collaborazione dell’imputato durante i controlli e l’assenza di elementi che facessero pensare a un uso sistematico del documento contraffatto o a un coinvolgimento in reti di falsari. Il giudice aveva quindi applicato la causa di non punibilità prevista dall’articolo 131-bis del codice penale, che esclude la responsabilità per reati di lieve entità quando ricorrono condizioni di marginalità e assenza di danno concreto.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso della procura generale, ha dichiarato l’impugnazione inammissibile. Secondo la Suprema Corte, la sentenza torinese non presentava “vizi di logicità” e le osservazioni dei magistrati inquirenti – relative alla complessità della falsificazione e alla necessità di utilizzare apparecchiature a raggi ultravioletti per accertarne la falsità – riguardavano la rivalutazione delle prove, un ambito in cui la Cassazione non può intervenire.

Il caso, in apparenza minore, riporta l’attenzione su uno degli aspetti più delicati nella gestione giudiziaria dei reati di falsità documentale legati alla mobilità internazionale. Il confine tra dolo e necessità, consapevolezza e ingenuità, rimane spesso sottile. Nel caso di Bardonecchia, la giustizia ha scelto la via della proporzionalità, riconoscendo la lieve entità del fatto e l’assenza di pericolo sociale.

Una decisione che, pur confermando la linea di severità nei confronti dei falsari professionisti, ribadisce il principio secondo cui il diritto penale deve distinguere tra colpevolezza e contingenza, sanzionando solo ciò che costituisce un reale pericolo per la collettività.

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