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Cronaca

Stretta della Procura sugli antagonisti: chiesti 30 anni per i disordini del Primo Maggio

Tra gli imputati volti storici di Askatasuna, Gabrio e del movimento No Tav

Stretta della Procura sugli antagonisti

Stretta della Procura sugli antagonisti: chiesti 30 anni per i disordini del Primo Maggio (foto di repertorio)

Stangata della Procura di Torino sul fronte dell’antagonismo politico. I pubblici ministeri hanno chiesto oltre trent’anni di carcere complessivi per 38 attivisti accusati di aver partecipato ai disordini dei cortei del Primo Maggio del 2017 e del 2019, due giornate trasformate in scontri di piazza con la polizia, tra lancio di oggetti, cariche e feriti.

Gli imputati appartengono al nucleo più conosciuto dei centri sociali Askatasuna e Gabrio, ma anche alla galassia No Tav, realtà da anni al centro di mobilitazioni e tensioni con le forze dell’ordine. A loro carico la Procura contesta resistenza aggravata a pubblico ufficiale, minacce, e in alcuni casi danneggiamenti e travisamento durante manifestazione.

Le richieste arrivano al termine di un processo lungo e teso. Per Mattia Marzuoli, figura simbolo del centro sociale Askatasuna, sono stati chiesti un anno e sei mesi di reclusione per i fatti del 2019 e un anno per quelli del 2017. Per Andrea Bonadonna e Giorgio Rossetto, nomi storici della scena antagonista torinese, un anno ciascuno.

Coinvolta anche Dana Lauriola, volto noto del movimento No Tav e già finita in carcere per altre proteste: la Procura chiede per lei otto mesi di reclusione per il 2017 e nove mesi per il 2019.

L’indagine, coordinata dalla Digos di Torino, ha ricostruito i due cortei finiti nel caos. Nel 2017 gli scontri esplosero in via Roma, tra fumogeni e bottiglie lanciate contro i cordoni di polizia; nel 2019 la violenza si spostò in piazza Vittorio Veneto e via Po, dove i manifestanti cercarono di forzare il blocco del corteo ufficiale dei sindacati.

Secondo la Procura, non si trattò di reazioni isolate ma di azioni coordinate e pianificate, tese a “impedire lo svolgimento regolare del corteo istituzionale e a creare tensione per fini politici”. I magistrati parlano di “violenza organizzata”, di una strategia premeditata che travalica il diritto di manifestare e si traduce in aggressione allo Stato.

La difesa contesta questa lettura. Gli avvocati degli imputati parlano di “processo alla protesta sociale”, denunciando una criminalizzazione del dissenso e chiedendo l’assoluzione: «Partecipare a un corteo non è un reato – sostengono –. Molti imputati non hanno compiuto atti di violenza, ma si trovavano nel luogo sbagliato nel momento sbagliato».

La sentenza è attesa nei prossimi mesi. Ma l’udienza ha riacceso un dibattito mai sopito: quello sui limiti della protesta politica a Torino, una città dove la tensione tra centri sociali, forze dell’ordine e magistratura resta un nervo scoperto.

Dal 2017 a oggi, il Primo Maggio torinese si è trasformato in un appuntamento a rischio, con cortei divisi, cariche di alleggerimento, e il ricorrente braccio di ferro tra l’anima istituzionale e quella antagonista.

Ora la parola passa ai giudici. La Procura ha già tracciato la linea: tolleranza zero verso chi, dietro la bandiera della protesta, sceglie lo scontro come linguaggio politico.

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