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Cronaca
30 Ottobre 2025 - 09:03
Poliziotto travolse e uccise il ciclista: il giudice riconosce un concorso di colpa
È arrivata la sentenza sul tragico incidente di Torino, costato la vita a Francesco Angelo Convertini, trentatreenne ingegnere e designer, travolto il 22 giugno 2022 da una volante della Polizia in transito all’altezza del Rondò Rivella. Il Tribunale ha condannato l’agente alla guida a un anno e quattro mesi di reclusione per omicidio stradale, una pena leggermente inferiore rispetto alla richiesta del pubblico ministero Marco Sanini, che aveva sollecitato un anno e mezzo. Oltre alla condanna, l’imputato sarà privato della patente per due anni. Ma il punto più discusso della decisione del giudice Agostino Pasquariello è un altro: la valutazione di un “concorso di colpa” tra l’automobilista e la vittima.
Secondo la ricostruzione emersa in aula, quella sera la volante della Polizia stava rientrando da un servizio di controllo, con lampeggianti accesi ma sirena spenta, diretta verso Porta Palazzo. A bordo, oltre ai due agenti di pattuglia, vi era anche un uomo appena fermato e in via di accompagnamento in questura. Convertini, che proveniva dai Giardini Reali, stava attraversando corso Regina Margherita sul passaggio ciclopedonale in corrispondenza del sottopassaggio di piazza della Repubblica quando è stato colpito in pieno dalla Seat Leon di servizio.

Francesco Convertini
Le indagini hanno stabilito che il veicolo stava procedendo in fase di accelerazione repentina, con la seconda marcia appena inserita. L’accusa ha sostenuto che il conducente non abbia dato la precedenza al ciclista, né regolato la velocità in rapporto al traffico intenso in quella zona. Gli accertamenti tossicologici sul corpo di Convertini avevano evidenziato tracce di cannabinoidi, ma per la Procura tale elemento non ha avuto alcuna incidenza nella dinamica. Il pubblico ministero ha chiarito che non vi sono prove che la lieve alterazione potesse averne compromesso i riflessi o la lucidità.
La figura di Francesco Convertini è rimasta impressa nella memoria di chi lo conosceva. Originario di Putignano e cresciuto a Locorotondo, aveva studiato Ingegneria tra Bari e Torino, dove aveva dato vita al laboratorio creativo “Quattroccì”. Le sue opere e installazioni erano state esposte in contesti noti come Paratissima e la rassegna “ARTiglieria” alla Cavallerizza Reale, dove aveva portato il suo stile fatto di equilibrio tra design e arte concettuale.
Durante l’intero processo, i genitori di Convertini hanno assistito a ogni udienza, sostenuti dall’avvocato Natascia Taormina, costituendosi parte civile. La decisione del Tribunale è stata accolta con profonda delusione. La madre ha ricordato più volte come il figlio fosse un ciclista prudente e rispettoso delle regole, sottolineando che si trovava su un passaggio autorizzato e segnalato, mentre la vettura della Polizia avrebbe proceduto a velocità eccessiva. Per la famiglia, il riconoscimento del concorso di colpa rappresenta un duro colpo, percepito come un’ingiustizia ulteriore rispetto alla perdita subita.
Il padre, da parte sua, ha espresso dolore e rammarico, ma non rancore. Ha ribadito come la responsabilità, specie per chi ricopre ruoli istituzionali, debba tradursi in una maggiore attenzione e consapevolezza alla guida. Il processo, oltre a determinare una condanna penale, ha riaperto il dibattito su sicurezza stradale, responsabilità dei conducenti dei veicoli di servizio e rispetto dei diritti dei ciclisti nei contesti urbani.
Il giudice Pasquariello, nella motivazione, ha voluto sottolineare la complessità della dinamica e l’impossibilità di attribuire l’intera colpa a una sola parte, evidenziando che alcune condotte di entrambi i protagonisti avrebbero contribuito al verificarsi del tragico impatto. Una conclusione che lascia spazio a riflessioni più ampie, su un sistema viario cittadino che spesso costringe automobilisti e ciclisti a convivere in spazi troppo stretti, con conseguenze potenzialmente fatali.
Francesco Convertini, ricordato da amici e colleghi come un giovane brillante e idealista, resta oggi un simbolo di quella fragilità urbana che ogni giorno attraversa le nostre strade. La sua morte, al di là del verdetto, continua a interpellare la città su quanto davvero sia garantita la convivenza tra mobilità e sicurezza.
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