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Cronaca
29 Ottobre 2025 - 22:33
Alex Pompa assolto: uccise il padre per salvare la madre
Non fu odio, né rabbia. Né una cieca esplosione di violenza. Alex Pompa, il ragazzo che nel 2020 uccise il padre con 34 coltellate nell’appartamento di famiglia a Collegno, non voleva colpire per distruggere, ma per difendere sé stesso e sua madre. Quella notte del 30 aprile, in un clima domestico che i giudici hanno definito «a dir poco drammatico», un diciottenne spaventato si trovò davanti a un uomo ormai fuori controllo. Dopo cinque anni, la Cassazione ha messo la parola fine a uno dei casi più controversi e dolorosi della recente cronaca italiana: Alex è stato assolto in via definitiva.
La Quinta sezione penale della Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura generale di Torino, confermando la sentenza dell’appello bis, che aveva già riconosciuto la legittima difesa putativa. In sostanza, Alex agì credendo di essere in pericolo, e quella convinzione – scrivono i giudici – era più che ragionevole.
Secondo la sentenza, Alex «non ha vibrato 34 coltellate per odio, frustrazione o rabbia, ma perché si è difeso fino a quando ha constatato che il padre era inerme e non costituiva più un pericolo». La Suprema Corte ha cristallizzato così un principio già emerso nel processo torinese: in quella casa si viveva da tempo un clima di sopraffazione, in cui il padre, Giuseppe Pompa, era dominato da una «gelosia patologica» e da un «insopprimibile desiderio di imporsi sui familiari».
Le cronache di quei giorni raccontavano un’abitazione divenuta un campo di battaglia, con urla, minacce, ossessioni. La sera del 30 aprile 2020, durante l’ennesima lite, Alex vide la madre spaventata, il padre furioso e fuori controllo. Quando pensò che l’uomo stesse per armarsi di un coltello, reagì. Secondo i giudici, anche «a voler ritenere che Alex abbia agito nella erronea convinzione che il padre intendesse armarsi», vi erano elementi «idonei a indurlo alla ragionevole persuasione di trovarsi in pericolo».
Da quel gesto disperato si aprì un percorso giudiziario complesso. In primo grado, nel 2022, il Tribunale di Torino aveva assolto Alex riconoscendo la legittima difesa. In appello, nel dicembre 2023, arrivò la condanna a sei anni e due mesi. Poi, nel luglio 2024, la Cassazione annullò quella sentenza, disponendo un nuovo processo davanti alla Corte d’Assise d’appello di Torino. Nel gennaio 2025, l’appello bis riportò il caso al punto di partenza: assoluzione piena. Ma la Procura generale torinese non si arrese e presentò un nuovo ricorso. Ora, con la decisione della Cassazione, l’assoluzione è definitiva.
Alex, che nel frattempo ha ottenuto di assumere il cognome della madre, Cotoia, potrà finalmente voltare pagina. «Alex ora può cominciare a vivere», ha dichiarato all’Adnkronos l’avvocato Claudio Strata, uno dei legali che insieme al professor Enrico Grosso lo ha difeso sin dal primo processo. Una frase semplice, ma densa di significato, che racchiude cinque anni di attesa, paure e battaglie legali.
La sentenza della Cassazione non solo chiude un caso giudiziario, ma restituisce anche una verità umana: quella di un ragazzo cresciuto in un ambiente segnato dalla violenza e dalla dominazione psicologica. I giudici parlano di una casa in cui «la madre viveva da anni una pesantissima sopraffazione», e in cui la reazione del figlio non fu dettata da impulso ma dalla percezione concreta di un pericolo imminente.
È la conclusione di una vicenda che, fin dall’inizio, aveva diviso l’opinione pubblica tra chi vedeva in Alex un assassino e chi invece lo considerava una vittima di circostanze insostenibili. Oggi la giustizia riconosce ufficialmente questa seconda verità: non fu vendetta, ma autodifesa.
Il giovane, che aveva appena compiuto 18 anni quando tutto accadde, è stato per anni un simbolo di un tema più ampio, quello delle violenza domestiche taciute, di quei drammi familiari che restano invisibili finché non esplodono. Con la pronuncia della Cassazione, la vicenda Pompa entra nella storia giudiziaria italiana come un caso emblematico di legittima difesa putativa, ma anche come un monito sulle conseguenze di una convivenza tossica e oppressiva che può trasformare la paura in disperazione.
Ora per Alex, divenuto Cotoia, inizia una nuova vita. E per la giustizia, una verità che non cancella il dolore, ma finalmente lo riconosce.
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