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Cronaca

Adulti che si fingono coetanei per adescare i ragazzi sui social. Il pericolo corre anche nel Canavese

Un uomo adescava adolescenti fingendosi una coetanea sui social: un fenomeno in crescita che colpisce anche i piccoli centri piemontesi, dove l’allarme resta alto tra genitori e scuole

Attenzione genitori

Attenzione genitori: ci sono adulti che si fingono coetanei per adescare i ragazzi sui social

Un falso profilo, qualche foto rubata da internet, un linguaggio seducente e l’illusione dell’amicizia. È bastato questo a un uomo di Brescia per adescare diversi adolescenti, fingendosi una ragazza loro coetanea. L’uomo inviava messaggi, scambiava immagini, si guadagnava la fiducia dei ragazzi per poi spingerli a ricambiare con foto intime. Dietro quello schermo, però, non c’era un’amica, ma un adulto che costruiva con freddezza una rete di manipolazione. A far scattare le indagini è stato un genitore, insospettito dal comportamento del figlio: la sua segnalazione ha permesso ai Carabinieri di individuare e arrestare l’uomo, ponendo fine a un sistema di adescamento online tanto subdolo quanto collaudato.

Il caso di Brescia, purtroppo, non è un’eccezione. In Italia, il fenomeno del grooming – termine con cui si definisce la manipolazione online di minori a scopo sessuale – è in crescita costante. La Polizia Postale segnala un aumento del 27% dei casi solo nell’ultimo anno. Nel 2021, le segnalazioni legate alla pedopornografia e all’adescamento sui social erano cresciute addirittura del 246% rispetto al 2020. E dietro le cifre si nasconde una realtà inquietante: gli adescatori non vivono nel dark web, ma nelle piattaforme frequentate ogni giorno dai ragazzi – da Instagram a TikTok, da WhatsApp a Discord.

Il meccanismo è sempre lo stesso: l’adulto crea un profilo falso – spesso rubando foto vere di giovani – e instaura un legame di fiducia con la vittima. Si finge un coetaneo, condivide interessi, usa un linguaggio affettuoso. Poi, passo dopo passo, introduce la confidenza fisica, fino a chiedere immagini private o a sfociare nel ricatto: la minaccia di diffondere le foto se il ragazzo non ne invia altre. In pochi giorni, un adolescente si trova intrappolato in un vortice di paura, vergogna e silenzio.

Gli effetti psicologici sono profondi. Le vittime spesso si isolano, mostrano ansia o comportamenti evasivi, cancellano chat, cambiano abitudini. In molti casi, come spiegano i centri di supporto, è proprio un genitore attento a scoprire che qualcosa non va. Ma non sempre c’è la stessa prontezza. In troppi casi, il tabù della vergogna e la mancanza di dialogo impediscono di intervenire in tempo.

La vicenda di Brescia ha acceso un faro anche sul Canavese, dove negli ultimi mesi sono arrivate diverse segnalazioni di comportamenti sospetti su profili social frequentati da ragazzi delle scuole medie e superiori. In comuni come Ivrea, Rivarolo e Cuorgnè, insegnanti e dirigenti scolastici hanno avviato incontri con la Polizia Postale e le associazioni di genitori per spiegare ai ragazzi come riconoscere i segnali del pericolo. L’obiettivo è uno solo: educare alla rete prima che sia la rete a educare loro.

La scuola è diventata il fronte più avanzato della prevenzione. Gli esperti di Save the Children e Telefono Azzurro insistono: servono percorsi di formazione permanente e campagne di sensibilizzazione mirate, non solo dopo un caso di cronaca. I genitori devono imparare a dialogare senza spiare, a costruire fiducia piuttosto che sorveglianza. È un equilibrio difficile, ma indispensabile.

Dal punto di vista normativo, l’Italia dispone di strumenti chiari. L’articolo 609-undecies del codice penale punisce l’adescamento di minori via internet anche se non c’è contatto fisico. Ma la legge, da sola, non basta. Le piattaforme social, spesso con sede all’estero, rallentano la collaborazione con le autorità italiane e rendono difficile l’identificazione rapida dei colpevoli. Proprio per questo, la Polizia Postale invita a segnalare ogni situazione sospetta sul portale “Commissariato di PS Online”, anche in forma anonima.

Il grooming non è una piaga virtuale, è una forma di violenza reale che attraversa la società silenziosamente, nascosta dietro schermi e notifiche. Brescia è solo una delle tante città dove è emerso, ma il fenomeno tocca anche territori più piccoli e periferici, dove il senso di sicurezza è spesso ingannevole. Anche nel Canavese, dove le scuole hanno lanciato campagne di consapevolezza, cresce la paura tra i genitori: il predatore non è più un volto sconosciuto per strada, ma una chat sullo smartphone del proprio figlio.

In un Paese che corre verso la digitalizzazione, la protezione dei minori resta una sfida aperta. La rete può essere un luogo di crescita, ma solo se accompagnata da consapevolezza e responsabilità. L’allarme lanciato da Brescia deve servire a tutto il Paese – e anche al Piemonte – per ricordare che ogni clic, ogni contatto e ogni messaggio possono essere un rischio o una salvezza. Dipende solo da quanto siamo pronti a vedere, capire e intervenire.

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