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20 Agosto 2025 - 22:32
Meta chiude il gruppo Facebook 'mia moglie ❤️❤️❤️': stop alla pornografia
Foto di donne in costume da bagno, mentre cucinano in cucina o si rilassano sul divano, immortalate di nascosto e poi condivise senza il loro consenso. Non in un cassetto segreto o in qualche archivio privato, ma alla luce del sole su Facebook, in uno spazio pubblico che raccoglieva decine di migliaia di iscritti. È questa la storia dietro il gruppo “Mia Moglie ❤️❤️❤️”, chiuso da Meta dopo un’ondata di segnalazioni da parte di utenti indignati. La motivazione ufficiale fornita dalla società di Mark Zuckerberg è chiara: “Violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti”.
Il gruppo contava oltre 30 mila iscritti, per la quasi totalità uomini, che si scambiavano foto intime delle proprie mogli — o presunte tali — all’insaputa delle dirette interessate. Un archivio costruito sulla violazione della fiducia, trasformato in palcoscenico per approvazione e complicità maschile. Una vicenda che assume contorni ancora più inquietanti se letta nel contesto delle ultime settimane, quando altre violazioni della privacy hanno conquistato le cronache, come la pubblicazione online delle immagini private sottratte a un sistema di videosorveglianza che ritraevano il conduttore Stefano De Martino e la compagna.
Il faro sul gruppo Mia Moglie si è acceso grazie a “No justice no peace”, un’organizzazione no profit che da mesi porta avanti la campagna “Not all men”, uno spazio dove le donne possono condividere storie di violenza e abusi. Proprio dal loro profilo Instagram è arrivata la denuncia più netta: “Oltre 32.000 uomini hanno creato un gruppo Facebook dove condividono foto intime delle proprie mogli senza il loro consenso, cercando approvazione e complicità in questa violenza”. Da qui l’appello: segnalare il gruppo a Meta, in massa, fino a costringere la piattaforma a intervenire.
E così è stato. La pagina Mia Moglie è stata inondata di commenti indignati, accuse di pornografia non consensuale, richieste di chiusura immediata. “Questa è una palese forma di abuso, pornografia non consensuale e misoginia sistemica. Chi partecipa a questo scempio è complice di un crimine” ha scritto ancora l’associazione, mentre altri utenti dichiaravano di aver già sporto denuncia alla Polizia Postale. Anche la politica è scesa in campo: il gruppo parlamentare del Partito Democratico nella Commissione Femminicidio e violenza ha fatto propria la battaglia, chiedendo a Meta di intervenire senza esitazioni.
Le parole più dure sono arrivate da Roberta Mori, portavoce nazionale della Conferenza delle Donne Democratiche: “È l’ennesima prova di una violenza digitale strutturale, che affonda le radici nella cultura patriarcale del dominio. La stessa che ha permesso per dieci anni lo stupro di Gisèle Pélicot, nato proprio in un gruppo online simile a questo”.
Meta, di fronte alle pressioni, ha infine spento l’interruttore: “Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme. Se veniamo a conoscenza di contenuti che incitano o sostengono lo stupro, possiamo disabilitare gruppi e account e condividere queste informazioni con le forze dell’ordine”, ha dichiarato un portavoce.
Una piccola vittoria, che però lascia l’amaro in bocca. Perché, come spesso accade nel mondo digitale, chiudere una porta significa vederne aprire subito un’altra. Sul profilo di No justice no peace, numerose segnalazioni raccontano infatti della nascita di un nuovo gruppo “di riserva” e persino dell’apertura di un canale Telegram parallelo, già finito all’attenzione della Polizia Postale. Un segnale che la battaglia non è finita: anzi, è appena iniziata.
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