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Un uomo di Nichelino riapre il gruppo dello stupro digitale “Moglie ❤️❤️❤️” su Facebook

Dopo la chiusura per pornografia non consensuale, spunta un nuovo spazio privato con centinaia di iscritti

Foto di repertorio

Foto di repertorio

Il fenomeno che aveva già scosso l’opinione pubblica torna a riproporsi con una nuova veste. A un giorno dalla chiusura di “Mia Moglie ❤️❤️❤️”, il gruppo Facebook con oltre 31mila iscritti dove venivano condivise foto intime e private di donne senza il loro consenso, è ricomparsa un’altra community online, questa volta privata, amministrata da P. G., un uomo di Nichelino sulla quarantina. Il nuovo spazio, nato con l’intento di trasferire gli utenti della pagina chiusa da Meta, ieri contava già circa 350 iscritti.

Il gruppo originario era stato eliminato da Meta dopo un’ondata di segnalazioni e la presa di posizione di associazioni e politica. Nel mirino erano finite migliaia di immagini di donne ritratte mentre cucinavano, in costume da bagno o in momenti di vita domestica, spesso scattate di nascosto e caricate senza alcun consenso. La società di Mark Zuckerberg aveva motivato la decisione parlando chiaramente di “violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti”, ribadendo che contenuti che promuovono o sostengono violenza sessuale non sono ammessi sulle piattaforme.

La vicenda aveva suscitato reazioni fortissime. L’associazione femminista No justice no peace, promotrice della campagna “Not all men”, aveva denunciato pubblicamente: “Oltre 32.000 uomini hanno creato un gruppo Facebook dove condividono foto intime delle proprie mogli senza il loro consenso, cercando approvazione e complicità in questa violenza”. Anche il Partito Democratico, tramite la Commissione Femminicidio e violenza, aveva chiesto un intervento immediato. Durissime le parole di Roberta Mori, portavoce della Conferenza delle Donne Democratiche: “È l’ennesima prova di una violenza digitale strutturale, che affonda le radici nella cultura patriarcale del dominio”.

Nonostante la chiusura, il problema non è stato arginato. Nella nuova community privata, che circolava fino a ieri su Facebook, compariva la descrizione: “L’alternativa al gruppo pubblico, per essere più liberi. Inviate altri membri, cerchiamo di popolare questo gruppo e rendiamolo il più hot di Facebook”. Poche ore dopo, il link risultava inattivo: il sospetto è che il gruppo abbia cambiato nome o sia accessibile soltanto tramite invito, con una strategia che punta a eludere i controlli delle piattaforme. Parallelamente, altri utenti avrebbero spostato l’attività su canali Telegram e chat WhatsApp, nel tentativo di sfuggire a ulteriori chiusure.

Il caso, già ribattezzato come esempio emblematico di stupro digitale, porta con sé interrogativi pesanti sulla capacità dei social di contrastare fenomeni di pornografia non consensuale e sulla cultura che li alimenta. Non si tratta di episodi isolati: la storia richiama alla mente casi simili, come quello raccontato dalla scrittrice Gisèle Pélicot, che ha denunciato anni di violenze partite da un gruppo online simile.

Per ora, resta la certezza che la chiusura di un gruppo non basta. L’apertura immediata di nuove community dimostra come il problema sia radicato e richieda non solo azioni di polizia e controllo digitale, ma un cambiamento culturale profondo.

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