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Cronaca

Caporalato nei cantieri pubblici: maxi inchiesta piemontese svela una rete di sfruttamento in otto regioni italiane

L’indagine “Stella verde” parte dal dito amputato di un operaio magrebino e porta alla scoperta di un sistema diffuso di abusi, subappalti irregolari e violazioni sulla sicurezza

Caporalato nei cantieri

Caporalato nei cantieri pubblici, l’inchiesta di Biella svela una rete di sfruttamento in otto regioni italiane

Un dito amputato ha acceso i riflettori su un sistema di sfruttamento organizzato, diffuso e silenzioso, che avrebbe toccato otto regioni italiane. L’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza di Biella e coordinata dalla Procura locale, è nata dalla denuncia di un operaio magrebino ferito alla diga dell’Ingagna, nel comune di Mongrando, e ha portato a scoprire un presunto giro di caporalato negli appalti pubblici, un mondo parallelo fatto di turni massacranti, minacce e omissioni di sicurezza. Cinque persone sono indagate a vario titolo per sfruttamento del lavoro, lesioni colpose aggravate e subappalti irregolari.

L’operazione, battezzata “Stella verde”, ha visto in azione una sessantina di militari impegnati in diciannove perquisizioni tra abitazioni, aziende e cantieri sparsi in tutta Italia. Le indagini hanno toccato Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Campania, Basilicata e Calabria, a testimonianza di un sistema che, se confermato, avrebbe radici profonde e ramificazioni interregionali. Un mosaico di irregolarità che le Fiamme gialle hanno ricostruito tessendo i fili partiti da una storia individuale, quella di un lavoratore ferito, che ha avuto il coraggio di raccontare.

L’uomo, magrebino, con regolare permesso di soggiorno, era stato vittima nel dicembre 2024 di un incidente sul lavoro: una subamputazione a un dito della mano durante attività di cantiere. Un episodio apparentemente ordinario, in un settore dove gli infortuni restano purtroppo frequenti. Ma dietro quella ferita si nascondeva molto di più. Davanti ai finanzieri, l’operaio ha deciso di rompere il silenzio, denunciando le condizioni in cui lui e altri connazionali lavoravano: turni di oltre dodici ore, assenza di riposi e ferie, alloggi in condizioni igieniche precarie, e la totale mancanza di dispositivi di protezione individuale.

Il racconto ha aperto uno squarcio su un sistema che – secondo gli investigatori – sfruttava il bisogno e la vulnerabilità dei lavoratori stranieri. L’inchiesta ha permesso di individuare una rete di imprese subappaltatrici che avrebbero gestito la manodopera in violazione delle norme sui contratti e sulla sicurezza, talvolta senza neppure le autorizzazioni previste dalla legge. Il quadro emerso descrive lavoratori costretti ad accettare retribuzioni arbitrarie, minacciati o addirittura picchiati in caso di proteste.

Il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Biella ha approfondito le dinamiche degli appalti, ricostruendo passaggi sospetti tra aziende di diverse regioni, in particolare nel comparto delle opere pubbliche. Le verifiche riguardano ora anche la filiera dei subappalti, per capire se l’illecito fosse confinato a singoli cantieri o se rappresentasse una prassi consolidata per ridurre i costi e aumentare i margini. Tra gli elementi sotto esame ci sono documentazioni informatiche, contratti di lavoro, buste paga, e soprattutto i flussi di denaro che avrebbero sostenuto questo meccanismo di sfruttamento sistematico.

L’indagine, secondo fonti investigative, potrebbe avere ulteriori sviluppi, perché il fenomeno del caporalato nei cantieri pubblici – spesso percepito come marginale rispetto a quello agricolo – si sta rivelando una piaga in crescita. Il ricorso al subappalto, legittimo in sé, diventa infatti terreno fertile per l’illegalità quando manca il controllo effettivo delle condizioni di impiego. Dietro la facciata della regolarità formale, si nascondono spesso lavoratori invisibili, che costruiscono infrastrutture pubbliche ma vivono ai margini del diritto.

Il termine “caporalato” evoca immagini di campagne e raccolti, ma negli ultimi anni ha cambiato scenario. Dalle serre alle grandi opere, dalle ditte edili ai servizi di logistica, il modello di reclutamento e sfruttamento dei lavoratori si è adattato, mantenendo intatta la logica: profitto a ogni costo. Nel 2023 il Ministero del Lavoro aveva segnalato oltre 1.300 procedimenti penali aperti per intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, e quasi un terzo riguardava il settore edilizio.

Il caso biellese si inserisce dunque in una cornice nazionale più ampia, dove i controlli sugli appalti pubblici si scontrano con un intreccio di imprese e subappalti spesso opachi. A rendere il tutto più complesso è il fatto che molte delle società coinvolte operano in territori diversi, rendendo difficile una supervisione unitaria. Il sistema, in sostanza, funziona grazie a una catena di responsabilità spezzata: chi commissiona i lavori si affida a ditte appaltatrici, che a loro volta delegano a terzi, fino a perdere traccia del lavoratore finale.

La Procura di Biella, che mantiene il massimo riserbo, sta ora verificando se le condotte contestate abbiano avuto anche risvolti di frode ai danni della pubblica amministrazione, dato che i cantieri sotto indagine riguardano opere pubbliche. Gli inquirenti vogliono capire se le imprese abbiano beneficiato di fondi pubblici o di gare d’appalto vinte presentando offerte anomale, rese possibili dal taglio dei costi sul personale.

Il fenomeno del caporalato, d’altronde, non è nuovo al Nord. Già nel 2021 un’operazione della Guardia di Finanza di Alessandria aveva portato a galla un sistema simile nei lavori di asfaltatura, mentre in Emilia-Romagna erano emersi casi di subappalti fittizi per eludere le regole sui contratti collettivi. Ciò che colpisce, in questa nuova indagine, è la dimensione geografica del fenomeno e il coinvolgimento del settore pubblico, che avrebbe dovuto essere un baluardo di legalità.

La vicenda della diga dell’Ingagna resta al centro del fascicolo come simbolo di una doppia ferita: quella fisica dell’operaio e quella morale di un Paese che ancora oggi tollera lo sfruttamento nei cantieri. L’uomo, dopo l’incidente, ha subito un intervento chirurgico e mesi di riabilitazione, ma il suo gesto di denuncia ha aperto una breccia. «È grazie al coraggio delle vittime – ha dichiarato un ufficiale delle Fiamme gialle – se possiamo portare alla luce meccanismi che altrimenti resterebbero nascosti».

Il lavoro ora passa ai magistrati, che dovranno verificare le responsabilità penali dei cinque indagati e accertare se vi siano altri soggetti coinvolti nella catena di appalti e subappalti. La speranza, per chi ha denunciato, è che quell’amputazione non resti solo una ferita, ma diventi un punto di svolta nella lotta allo sfruttamento nei cantieri pubblici.

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