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Cronaca
10 Ottobre 2025 - 17:07
Telefonino in cella: la Polizia Penitenziaria sventa un nuovo caso nel carcere di Alessandria (immagine di repertorio)
Ancora un episodio che riporta alla ribalta il problema della sicurezza nelle carceri italiane. Nella serata di mercoledì 8 ottobre, poco dopo le 22.30, un agente della Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Alessandria ha scoperto un microtelefono cellulare completo di SIM e caricabatteria nascosto nella cella di un detenuto di origini egiziane di 22 anni, già noto alle forze dell’ordine per rapine aggravate commesse in passato.
L’episodio, reso noto da Vicente Santilli, segretario per il Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE), si è verificato nel padiglione ordinario del carcere alessandrino, durante un servizio di controllo di routine. L’agente, insospettito da un movimento anomalo, ha deciso di intervenire: «Grazie alla sua capacità di osservazione e al senso del dovere – racconta Santilli – l’addetto è riuscito a individuare immediatamente un detenuto in possesso di un oggetto non consentito».
Dopo l’allerta alla sorveglianza, il personale ha proceduto a una perquisizione mirata, che ha portato al ritrovamento e sequestro del telefono. L’apparecchio, perfettamente funzionante, avrebbe potuto consentire al detenuto di mantenere contatti con l’esterno, eludendo i controlli e violando il regime di sicurezza interna. Il giovane è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per il reato di detenzione di dispositivi di comunicazione in ambiente penitenziario.
Il segretario Santilli non ha mancato di elogiare l’operato dei colleghi, sottolineando l’importanza di un corpo di polizia che continua a garantire sicurezza pur tra mille difficoltà. «Ancora una volta – ha dichiarato – la professionalità e l’acume del personale di Polizia Penitenziaria si dimostrano l’unico vero baluardo per la sicurezza interna degli istituti. Rivolgiamo il nostro plauso e la nostra gratitudine all’agente e a tutto il personale intervenuto».
Ma dietro il riconoscimento, emerge un grido d’allarme. «Siamo costretti a operare quotidianamente in un contesto di carenza cronica di strumenti, mezzi e formazione – ha aggiunto Santilli –. Solo l’impegno costante delle donne e degli uomini del Corpo riesce a sventare reati e mantenere l’ordine, sopperendo alle gravi e colpevoli lacune strutturali dello Stato. Chiediamo con forza interventi immediati e concreti per sostenere il nostro lavoro».

A livello nazionale, la diffusione di cellulari all’interno delle carceri italiane è un fenomeno sempre più allarmante. Lo conferma Donato Capece, segretario generale del SAPPE, che cita i dati ufficiali del triennio 2022–2024: «Sono stati sequestrati circa 5.000 telefonini nelle strutture penitenziarie italiane. È un numero impressionante che dimostra quanto sia urgente intervenire con misure efficaci».
Secondo il sindacato, l’ingresso illecito di telefoni cellulari dietro le sbarre rappresenta un rischio enorme per la sicurezza, non solo perché consente ai detenuti di comunicare con l’esterno, ma anche perché spesso questi dispositivi vengono utilizzati per coordinare attività criminali, minacciare testimoni o organizzare traffici illeciti.
Capece ha rilanciato l’appello al Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Torino e al Ministero della Giustizia, chiedendo l’adozione di misure straordinarie: «Serve un piano urgente per schermare i penitenziari e impedire il funzionamento dei telefoni cellulari. Tutti i reparti di Polizia Penitenziaria devono essere dotati di sistemi in grado di bloccare i segnali e di neutralizzare i sorvoli di droni che, sempre più spesso, vengono utilizzati per introdurre dispositivi o sostanze vietate all’interno degli istituti».
La Casa Circondariale “Cantiello e Gaeta” di Alessandria non è nuova a episodi di questo tipo. Negli ultimi mesi, la struttura ha registrato diversi sequestri di telefoni e aggressioni al personale, segno di un clima di tensione crescente e di un sistema detentivo messo a dura prova.
Secondo il SAPPE, il carcere alessandrino – come molti altri del Nord Italia – soffre di carenze croniche di organico e di un sovraffollamento che rende ancora più difficile mantenere condizioni di sicurezza e controllo.
Il ritrovamento del microtelefono, spiegano gli agenti, «dimostra quanto sia necessario investire in tecnologie di rilevamento più moderne, come scanner, metal detector e sistemi di sorveglianza avanzata».
Il sindacato torna così a chiedere attenzione politica e risorse economiche per la sicurezza degli operatori, ricordando che ogni giorno il personale penitenziario si trova a fronteggiare situazioni di rischio elevato. «Non possiamo più permetterci che episodi di questo tipo diventino la norma – ha concluso Capece –. La sicurezza degli operatori, dei detenuti e dell’intera collettività è a rischio. È tempo che il Ministero della Giustizia intervenga con decisione».
L’episodio di Alessandria si aggiunge a una lunga serie di casi che, di settimana in settimana, alimentano il dibattito sulle condizioni delle carceri italiane e sull’urgenza di una riforma strutturale del sistema penitenziario, capace di garantire ordine, legalità e sicurezza senza rinunciare al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.

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