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Cronaca

Morte di Germano Giaj Levra, la perizia shock: “Alta probabilità di maltrattamenti”

L’autopsia svela un quadro di trascuratezza, ferite e dolore taciuto

Giaveno, morte evitabile? L’autopsia su Germano Giaj Levra apre l’ombra dei maltrattamenti

Morte di Germano Giaj Levra, la perizia shock: “Alta probabilità di maltrattamenti”

A causare la morte di Germano Giaj Levra, 91 anni, non è stato un evento improvviso ma una catena di omissioni e trascuratezze. È quanto emerge dalla relazione medico-legale disposta dalla Procura di Torino, che conferma come l’anziano di Giaveno sia morto per una grave polmonite bilaterale mai curata, aggravata da uno scompenso cardio-respiratorio. Un quadro clinico già fragile, ma che – secondo il perito incaricato, il dottor Roberto Testi – racconta molto di più: la storia di una persona lasciata andare, forse abbandonata, forse maltrattata.

Quando i sanitari dell’ospedale di Rivoli lo hanno preso in carico, il corpo di Giaj Levra mostrava segni inquietanti. Era sporco, trasandato, con lividi e fratture distribuiti su più punti, incompatibili con una sola caduta. Persino la mano destra portava i segni di chi prova a difendersi da un colpo. “Lesioni da difesa”, le definisce Testi, che nella sua relazione parla apertamente di un’“alta probabilità di maltrattamenti”. La polmonite, aggiunge, non poteva passare inosservata: i sintomi dovevano essere evidenti da giorni. Eppure, nessuno aveva fatto nulla.

Non si tratta di una morte violenta, ma di una morte evitabile. Secondo il medico legale, alcune fratture toraciche avrebbero aggravato la situazione. “Se il signor Giaj Levra fosse arrivato in ospedale anche solo pochi giorni prima, sarebbe ancora vivo”, scrive Testi. Parole che pesano, perché raccontano l’inerzia, il silenzio e la paura che hanno accompagnato gli ultimi giorni di un uomo conosciuto e stimato in paese: ex assicuratore, vedovo, per anni attivo nelle associazioni locali come il Lions Club e il coro Valsangone.

Quel 14 maggio, Germano era stato trovato agonizzante nella sua casa di piazza Molines, dove viveva con due dei tre figli. Fu uno di loro a chiamare i soccorsi, parlando di una caduta accidentale. Ma da subito, qualcosa non quadrava. I carabinieri, arrivati nell’appartamento, trovarono una scena che non coincideva con quella descritta: tracce di sangue in più stanze, segni di colluttazione, un corpo troppo martoriato per un semplice incidente domestico. Le domande si moltiplicavano, le risposte no.

Oggi, i due figli conviventi, di 58 e 61 anni, sono indagati per maltrattamenti e omissione di soccorso. L’accusa iniziale di omicidio volontario, che aveva travolto il maggiore, è caduta dopo le conclusioni dell’autopsia. Il terzo figlio, che da tempo vive altrove, è invece parte offesa e chiede solo giustizia. “Voglio sapere cosa è accaduto davvero”, ha detto il suo avvocato Stefano Tizzani. Una frase che suona come un grido di dolore, ma anche come un atto di responsabilità verso la memoria di un padre che, forse, poteva essere salvato.

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