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Cronaca

Torino, cento telefonate in un giorno: a processo un trentenne per stalking contro l’ex moglie

Secondo l’accusa, una vera persecuzione fatta di chiamate e pedinamenti. La difesa replica: “Era solo in apprensione”

Torino, cento telefonate in un giorno: a processo un trentenne per stalking contro l’ex moglie

Torino, cento telefonate in un giorno: a processo un trentenne per stalking contro l’ex moglie (immagine di repertorio)

Un centinaio di telefonate in una sola giornata, pedinamenti, messaggi ossessivi e un matrimonio ormai finito. È la storia di un trentenne torinese oggi a processo per stalking davanti al tribunale di Torino, accusato di aver perseguitato la sua ex moglie nei mesi successivi alla separazione.

Il caso risale al settembre del 2024, quando la donna – assistita dall’avvocata Clara Pozzo – aveva deciso di sporgere denuncia dopo settimane di comportamenti giudicati “asfissianti”. Secondo la ricostruzione della pubblica accusa, l’imputato non avrebbe accettato la fine della relazione e avrebbe messo in atto una vera campagna di controllo fatta di telefonate continue, appostamenti sotto casa e sorveglianza dei movimenti dell’ex moglie.

«Si tratta di una vera persecuzione», ha sostenuto oggi in aula il pubblico ministero, che ha ripercorso davanti al giudice Alfredo Toppino le tappe del rapporto degenerato. Un comportamento che, secondo l’accusa, aveva creato nella donna “un clima di costante ansia e paura”, spingendola a cambiare abitudini e a evitare luoghi frequentati in precedenza per timore di incontrare l’ex marito.

La difesa, rappresentata dall’avvocata Cristina Lavezzaro, ha però offerto una versione diversa. L’uomo, ha spiegato, non avrebbe mai avuto l’intenzione di perseguitare la donna ma sarebbe stato “in forte apprensione per i figli”, che non riusciva a vedere con la frequenza desiderata. Secondo la tesi difensiva, le telefonate erano tentativi di contatto motivati dalla preoccupazione paterna, soprattutto dopo un episodio in cui aveva dovuto portare uno dei bambini al pronto soccorso. «Era agitato perché lei non rispondeva mai – ha dichiarato l’imputato in aula – e la situazione gli è sfuggita di mano».

Il tribunale ha ricordato che, dopo la denuncia, all’uomo era stato imposto il divieto di avvicinamento alla donna, ma senza l’uso del braccialetto elettronico, poiché – data la vicinanza tra le abitazioni – l’allarme sarebbe scattato di continuo. La ex moglie, infatti, si era trasferita in una casa a poche centinaia di metri da quella dell’ex marito, mantenendo le stesse abitudini di vita e rendendo di fatto complessa la gestione della misura cautelare.

Nel frattempo, prima dell’apertura del processo, le parti avevano perfezionato un accordo di separazione consensuale, ma la donna non ha ritirato la querela, segno di una frattura profonda e mai davvero ricomposta.

Il procedimento proseguirà nelle prossime settimane con l’audizione dei testimoni e la valutazione delle registrazioni telefoniche acquisite dagli inquirenti. Per la giurisprudenza italiana, lo stalking – o “atti persecutori” – è configurato ogni volta che un comportamento reiterato genera ansia, timore o costrizione psicologica nella vittima, anche in assenza di aggressioni fisiche.

Il giudice dovrà ora stabilire se, nel caso del trentenne torinese, si sia trattato di un eccesso di ansia genitoriale o di un vero e proprio comportamento persecutorio. Una linea sottile che, come spesso accade nelle aule di giustizia, separa la preoccupazione legittima dalla violenza psicologica.

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