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Cronaca
06 Ottobre 2025 - 14:22
Antonia Mazzone con suo figlio, Luigi Pugliano
Ha 68 anni, respira con una macchina per l’ossigeno, vive con una pensione minima da 500 euro e un figlio disoccupato che cerca lavoro da anni. Eppure, entro venerdì, dovrà lasciare la casa popolare di via Einaudi 17 a Settimo Torinese, dove abita da oltre vent’anni. Una vita intera ridotta a qualche scatolone da riempire e un ultimatum appeso alla porta. «Mi danno lo sfratto, ma da qui non esco. Mi dò fuoco piuttosto», dice con la voce ferma ma stanca.
La protagonista di questa storia si chiama Antonia Mazzone. È malata di cuore, la notte dorme collegata a un apparecchio per respirare. Ha lavorato per tutta la vita nei cantieri comunali, l’ultimo a febbraio, facendo la bidella nelle scuole di via Einaudi. Con quei piccoli incarichi arrivava a mille euro al mese, riuscendo a pagare tutto. Ma oggi, con la sola pensione sociale, non ce la fa più.
Il problema è il riscaldamento: due o tre stagioni non pagate, conti arretrati e un debito che oggi l’Atc quantifica in 21mila euro. Una cifra che Antonia non può neppure immaginare di saldare. Aveva chiesto un piano di rientro, ma la richiesta è stata respinta. «Non vogliono sentire ragioni – racconta – mi hanno detto che devo andarmene e basta».
La casa, in realtà, è la sua da più di vent’anni. Ci vive dal 2001, quando l’Atc la trasferì qui dopo l’alluvione del 2000 che devastò la zona di corso Potenza a Torino. «Allora abitavo in via Forlì, in una casa popolare. L’acqua ci entrò dentro, ci tolsero da lì e mi mandarono a Settimo. Da allora ho sempre pagato».
Ma la burocrazia, ancora una volta, ha cancellato la sua storia. L’alloggio era intestato a suo marito, anche lui pensionato sociale, morto sei anni fa a novembre. Dopo la sua scomparsa, la donna aveva chiesto il subentro. Ma l’Atc, tra scartoffie e cavilli, le ha sempre risposto di no. Così oggi risulta abusiva, nonostante paghi regolarmente 194 euro al mese, contro i 52 che versava prima della morte del coniuge.
Il figlio Luigi, 41 anni, vive con lei. È disoccupato, non ha la patente, e dopo anni di lavoro precario nei cantieri e nei magazzini non riesce più a trovare un’occupazione stabile. «Sono iscritto in tutte le agenzie – racconta – ho fatto anche il ponteggista, il manovale, il magazziniere. L’ultimo lavoro è stato quattro mesi fa, ma mi facevano stare fermo tutto il giorno».
L'appartamento in cui Antonia vive con suo figlio Luigi
In Comune ci sono già andati più volte. Hanno chiesto aiuto agli assistenti sociali, all’ufficio casa, perfino al sindaco. «Mi hanno detto che non hanno alloggi da dare – spiega Antonia – ma io non posso andare in mezzo alla strada». Eppure il conto alla rovescia è partito: entro venerdì dovrà consegnare le chiavi.
Questa mattina la donna ha provato anche la via dei privati. Ha trovato un appartamento in via Einaudi 7, due camere, tinello, cucinino e bagno, 400 euro al mese di affitto. Ma non ha i soldi per la caparra né per le prime mensilità. Ha chiesto un anticipo o un piccolo aiuto, ma si è sentita rispondere che non è competenza dell’ufficio. «Mi avevano promesso una risposta, ma non ho sentito più nessuno», sospira.
L’Atc, intanto, va avanti per la sua strada. Nessuna tregua, nessun piano di rientro. Dopo due decenni, l’alloggio che un tempo le fu assegnato come soluzione d’emergenza diventa oggi motivo di sfratto. Una beffa che pesa come un macigno su chi vive di poco e chiede soltanto di non perdere tutto.
Antonia non si arrende, ma la sua voce trema. Ogni frase è un misto di dignità e disperazione. «Sono malata, ho problemi di cuore, respiro con l’ossigeno. Venerdì ho una visita dal cardiologo a Ivrea, ma non so se riuscirò ad andarci. Non so quando arriveranno a portarmi via. Vengono a sorpresa».
Le sue giornate scorrono in un’attesa ansiosa, tra documenti, visite mediche e telefonate che non portano mai una soluzione. «Non chiedo regali, solo che mi lascino qui o che mi trovino un’altra casa. Ho sempre lavorato, non ho mai fatto del male a nessuno».
Dal Comune di Settimo, per ora, nessuna risposta. Gli assistenti sociali dicono di non avere strumenti, e gli uffici confermano la mancanza di alloggi disponibili. Una situazione che, come tante, rischia di concludersi nel modo peggiore: una donna fragile, malata e indigente cacciata da quella che da vent’anni è la sua casa.
Antonia lo sa, ma non vuole arrendersi. «Ho già vissuto un’alluvione – dice – ma questa è peggio, perché stavolta l’acqua non è fuori, è dentro di me». E intanto si prepara a resistere, con la determinazione di chi ha perso tutto ma non la dignità.
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