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03 Ottobre 2025 - 10:05
Dietro la facciata scintillante della gig economy, fatta di consegne rapide e promesse di flessibilità, si apre in questi giorni a Torino una causa che scoperchia le contraddizioni strutturali del settore. Due fattorine di Foodinho (Glovo) hanno portato la piattaforma davanti alla sezione Lavoro del Tribunale, accusando l’azienda di aver creato un contesto discriminatorio e degradante, segnato da presunte avances sessuali di superiori, esclusioni sistematiche e un sistema di punteggi algoritmici che avrebbe penalizzato le lavoratrici fino a ridurre drasticamente la loro possibilità di guadagno.
Il ricorso, sostenuto dall’avvocata Giulia Druetta, punta a ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con tutte le tutele previste: ferie, malattia, sicurezza, salario minimo e protezione contro le molestie. Al centro della vicenda c’è un dettaglio che fa emergere l’intreccio tra algoritmi e potere umano: l’esistenza del gruppo WhatsApp “veteran”, che secondo gli atti permetteva ad alcuni rider di bypassare l’algoritmo per prenotare gli slot migliori in cambio di disponibilità, informazioni interne e favori. A gestirlo sarebbero stati due manager, intermediari tra i rider e i vertici aziendali. Un canale parallelo che, se confermato, metterebbe in discussione la neutralità stessa del sistema.
Le due fattorine denunciano inoltre un “clima degradante”: nelle carte compaiono messaggi come «Guardo il calendario, non capisco come tu non me l’abbia ancora data» o «Lo sai che scherzo, ma c’è un fondo di verità». La difesa di Glovo avrebbe liquidato questi episodi come “battute goliardiche”, sostenendo che la lavoratrice non si sarebbe opposta con decisione. Ma la cornice in cui quelle frasi sono state pronunciate — una relazione di potere e di dipendenza economica — sarà la chiave della valutazione del giudice.
Il nodo dell’algoritmo resta centrale. Nel 2024 è entrato in vigore un nuovo sistema di punteggi che decide chi accede agli slot di lavoro. Secondo le ricorrenti, il meccanismo le avrebbe escluse progressivamente, colpendo le due uniche donne del gruppo. Una di loro, affetta da problemi cardiaci, sarebbe stata addirittura bloccata dall’app, senza reali tutele. Una condizione che, a loro dire, mostra come dietro la retorica della flessibilità si nasconda un sistema che ignora salute, genere ed età, riducendo tutto a performance e velocità.
La questione giuridica è cruciale: se il Tribunale riconoscerà che il rapporto con Foodinho presenta elementi di subordinazione — direttive precise, controlli, sanzioni, premi — le piattaforme di food delivery potrebbero essere costrette a ridefinire i propri modelli contrattuali. Un precedente che farebbe scuola, non solo in Italia. Viceversa, se prevalesse la linea del lavoro autonomo, i rider resterebbero in quella zona grigia che da anni alimenta contenziosi e proteste.
Questa causa, però, non riguarda soltanto le due fattorine. Parla all’intero settore. Mette in discussione la governance degli algoritmi, la trasparenza dei criteri di valutazione, la protezione delle minoranze e delle persone più vulnerabili. Laddove l’efficienza si misura in click e secondi, il rischio è che diritti fondamentali diventino un ostacolo da aggirare.
Il procedimento è solo all’inizio e le accuse dovranno essere provate in aula. Ma un punto è già chiaro: il mito della “libertà” nel lavoro on demand scricchiola di fronte alle testimonianze di chi racconta turni massacranti, punteggi ingiusti e rapporti opachi. La sentenza, qualunque essa sia, definirà non solo il destino delle due lavoratrici, ma anche i confini futuri del lavoro digitale.
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