Cerca

Cronaca

Torino, dai furti alle Maldive: fine corsa per l’organizzazione albanese

I tre albanesi al vertice dell’organizzazione, accusati di guidare una rete criminale ramificata tra ville e appartamenti di Torino e provincia

Torino, fine corsa

Torino, dai furti alle Maldive: fine corsa per l’organizzazione albanese

La procura di Torino vuole chiudere il conto con la banda che per mesi ha seminato paura tra le case di città e provincia. Sessantaquattro furti contestati, un elenco che sembra infinito, e una struttura criminale capace di muoversi con precisione chirurgica. Il sostituto procuratore Giuseppe Drammis ieri, 30 settembre, ha chiesto condanne fino a sei anni e due mesi di carcere per i tre presunti capi e i loro complici. Si tratta di Lali, 33 anni, ritenuto il regista del gruppo, Riko, 52 anni, considerato il palo e l’autista di fiducia, e Feru, 39 anni, indicato come l’uomo d’azione, quello che entrava materialmente nelle case. Attorno a loro, secondo gli atti, ruotava un piccolo esercito di collaboratori: intestatari fittizi delle automobili usate per i colpi, complici pronti a riciclare gioielli e denaro, ricettatori capaci di trasformare l’argento e l’oro rubati in contante.

Il calendario dei furti si snoda tra il 2023 e l’inverno 2024, con una concentrazione particolare nelle ville delle colline torinesi, ma non mancano colpi in piena città. L’organizzazione, sostengono i carabinieri della compagnia di Chieri che hanno condotto le indagini, agiva come una vera azienda del crimine: sopralluoghi accurati, divisione dei ruoli, uso di auto intestate a prestanome per confondere i controlli, persino la scelta di aree di rivendita ben collaudate. Per questo, oltre ai singoli furti, la procura contesta il reato di associazione a delinquere, con aggravanti legate alla serialità e alla professionalità dell’azione.

Le udienze non sono finite. Alla prossima, fissata per metà ottobre, toccherà alle arringhe degli avvocati difensori, tra cui Antonio Genovese, Rocco Femia e Maria Franca Mastrogiorgio, che cercheranno di smontare il castello accusatorio. Ma la richiesta del pm lascia intendere una linea dura: pene pesanti nonostante lo sconto di un terzo della pena garantito dal rito abbreviato.

Eppure, la cronaca giudiziaria non si ferma alla tecnica dei furti. La storia di questa banda ha contorni che sfiorano il grottesco. Dopo i colpi più ricchi, raccontano gli inquirenti, i ladri festeggiavano con vacanze di lusso. In un’occasione sarebbero volati con le famiglie a Zanzibar, in un’altra progettavano le Maldive, quasi che il bottino fosse un biglietto aereo collettivo. Una doppia vita che alternava l’irruzione notturna nelle abitazioni al relax in resort tropicali.

Non mancava il cinismo. Uno degli indagati, infatti, si trovava in regime di semilibertà: di giorno rubava, alla sera rientrava regolarmente nel carcere delle Vallette. Un paradosso che ha colpito persino i militari che lo sorvegliavano: fuori di giorno con i complici, dentro la notte come se nulla fosse. L’appuntamento con i compari, emerso dalle intercettazioni, era fissato vicino al penitenziario, prima di ripartire verso una nuova abitazione da svaligiare.

Il metodo seguito dal gruppo evidenzia un salto di qualità rispetto ai ladri occasionali. L’organizzazione si muoveva su più piani: uso di targhe false, studi delle abitudini dei residenti, coperture logistiche per sfuggire ai posti di blocco. È anche per questo che i carabinieri hanno impiegato mesi di pedinamenti, microspie e appostamenti per incastrare i presunti responsabili. La refurtiva recuperata, tra orologi di pregio e gioielli, testimonia la portata economica di un business sommerso che ha finanziato non solo la vita quotidiana ma anche i lussi dei protagonisti.

Il processo, destinato a concludersi entro l’autunno, ha già riportato alla ribalta un tema che a Torino si ripete ciclicamente: la vulnerabilità delle abitazioni private, specie in collina. Molti colpi sono avvenuti mentre i proprietari erano fuori per cena o durante i fine settimana, sfruttando il buio e la scarsa sorveglianza. Un modello che i residenti denunciano da anni, chiedendo pattugliamenti più frequenti e sistemi di allarme integrati.

Per ora resta l’attesa della sentenza, ma l’impressione è che l’impianto accusatorio non si limiti a singoli episodi: la procura vuole dimostrare che quella di Lali, Riko e Feru non era una semplice compagnia di ladri, ma una rete criminale strutturata, capace di durare nel tempo e di generare profitti consistenti. Sarà il tribunale a stabilire se la loro parabola si concluderà con la condanna richiesta o con un ridimensionamento delle accuse. In ogni caso, per i tre albanesi e i loro complici, l’epoca delle vacanze esotiche sembra essere finita.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori