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Preservativi in carcere: è polemica! “Si distoglie l’attenzione dalle vere emergenze, tra violenze sessuali e potere dei clan”

Il sindacato F.S.A. denuncia: centinaia di abusi ogni anno negli istituti penitenziari, ma il dibattito pubblico resta concentrato sui profilattici

Preservativi in carcere

Preservativi in carcere: è polemica! “Si distoglie l’attenzione dalle vere emergenze, tra violenze sessuali e potere dei clan”

La distribuzione di preservativi nel carcere di Pavia continua a sollevare polemiche, ma secondo il sindacato F.S.A. C.N.P.P.-S.PP. il vero nodo del sistema penitenziario italiano è un altro. L’ordine di servizio della direttrice, che autorizzava la consegna dei profilattici ai detenuti, risale infatti al 19 febbraio scorso, un dettaglio che per il segretario generale Aldo Di Giacomo dimostra come la vicenda sia stata strumentalizzata per alimentare un caso mediatico ormai superato.

«È sempre più grottesca la vicenda preservativi – osserva Di Giacomo – con una storia pruriginosa si vuole distogliere l’opinione pubblica dai problemi veri delle carceri italiane, che non sono né i profilattici né le stanze dell’amore». Secondo il sindacato, il confronto sull’affettività e la sessualità dietro le sbarre è legittimo e necessario, ma diventa fuorviante quando viene usato come specchietto per le allodole rispetto a questioni ben più drammatiche.

L’esempio citato da Di Giacomo è la notizia, arrivata in contemporanea a quella dei preservativi di Pavia, del boss detenuto a Napoli che fino a giugno impartiva ordini al suo clan dal carcere, con ramificazioni fino al Parco Verde di Caivano. Una vicenda che a suo giudizio dimostra come lo Stato finisca per “arretrare” di fronte al potere della criminalità organizzata, capace di condizionare perfino la vita quotidiana dei detenuti.

La denuncia più pesante riguarda però le violenze sessuali all’interno degli istituti penitenziari. «Ogni anno sono centinaia i casi di sopraffazioni e abusi tra compagni di cella, negli istituti ordinari e in quelli minorili» sostiene Di Giacomo, sottolineando come spesso questi episodi restino sommersi, senza denuncia. Alcuni casi sono finiti sotto la lente della magistratura: a Torino, nel settembre 2023, un 32enne avrebbe violentato ripetutamente il compagno di cella minacciandolo con un rasoio; in un altro episodio, datato gennaio 2020, due detenuti di 36 e 47 anni sono accusati di aver torturato e stuprato per giorni un tossicodipendente omosessuale.

Secondo il sindacato, il fenomeno si estende anche a pratiche di scambio di sesso in cambio di psicofarmaci, alcol o beni di prima necessità, soprattutto tra detenuti fragili o con problemi psichici. Una realtà di degrado che raramente emerge nei dati ufficiali e che, denuncia Di Giacomo, l’amministrazione penitenziaria non è in grado – o non vuole – quantificare.

La richiesta è di affrontare la questione in modo sistematico, con indagini approfondite e personale specializzato, per dare un volto e un nome a un fenomeno che altrimenti resta invisibile. «Il problema – ribadisce Di Giacomo – non è la distribuzione dei profilattici, ma il silenzio attorno a queste violenze».

La polemica riaccende dunque il dibattito su come il carcere italiano affronti il tema dell’affettività e della sessualità, tra aperture culturali, timori di strumentalizzazione e una realtà quotidiana fatta di abusi e rapporti di forza che raramente arrivano al centro del discorso pubblico.

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