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Cronaca
11 Settembre 2025 - 18:12
«Sono sinceramente scosso dalle motivazioni shock della sentenza Regna, che ribaltano la figura del colpevole e della vittima». È l’affermazione forte del capogruppo di Forza Italia, Paolo Ruzzola, che in una nota ha chiesto un immediato intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La recente sentenza emessa dal giudice Paolo Gallo a Torino, che ha condannato l’aggressore di Lucia Regna a una pena di un anno e sei mesi per le lesioni inflitte, è una decisione che non solo solleva polemiche, ma rischia di minare la credibilità e l’efficacia della lotta alla violenza di genere in Italia. Ruzzola ha parlato chiaro: «Un atto che non corrisponde a come si è evoluto il sistema giudiziario», riferendosi alla pena ridotta rispetto ai quattro anni e mezzo richiesti dalla procura, e alla giustificazione della violenza come un “sfogo umano” comprensibile. Il capogruppo di Forza Italia ha quindi chiesto che il Presidente Mattarella intervenga presso il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) affinché vengano chiarite le motivazioni della sentenza, che rischiano di legittimare una cultura della violenza mai più tollerabile.
Il 28 luglio 2022, Lucia Regna è stata vittima di un’aggressione atroce da parte del suo ex compagno, che le ha inferto colpi devastanti per ben sette minuti. Il suo volto è stato distrutto, con 21 placche di titanio necessarie per ricostruirlo, e un nervo oculare lesionato, segni indelebili di una violenza inaccettabile. La donna, dopo aver cercato di liberarsi da un matrimonio di vent’anni, ha ricevuto minacce come «ti ammazzo» e insulti pesanti che l’hanno seguita anche dopo l’aggressione. La motivazione del giudice Gallo, però, ha inquadrato l'episodio come «uno sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane» e non come un atto di violenza ingiustificabile. Il giudice ha ritenuto che la separazione della coppia fosse stata comunicata dalla donna «in maniera brutale», dando così una sorta di giustificazione all'aggressione. Con tale argomentazione, l’imputato è stato condannato a un anno e sei mesi per lesioni, pena decisamente inferiore rispetto alla richiesta di quattro anni e mezzo della procura, ma è stato assolto dall’accusa di maltrattamenti.
La parte più scioccante di questa sentenza è la motivazione con cui il giudice Paolo Gallo ha inquadrato l’aggressione: secondo il magistrato, il pestaggio del 28 luglio 2022 - sette minuti di violenza che hanno lasciato Lucia Regna con il volto ricostruito da 21 placche di titanio e un nervo oculare lesionato - non fu «un accesso d'ira immotivato», ma "uno sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane". In altre parole, la violenza sarebbe stata una reazione comprensibile, quasi una conseguenza naturale di una relazione che stava giungendo al termine.
Il giudice ha argomentato che Lucia Regna, comunicando la separazione «in maniera brutale», avrebbe dato avvio a una serie di reazioni, che il suo ex compagno avrebbe espresso con insulti e minacce, tra cui «pu...a», «non vali...», «ti ammazzo». Tali frasi, secondo la sentenza, vanno lette come “frasi da calare nel contesto della dissoluzione della comunità domestica, umanamente comprensibile”. Questa logica che giustifica l’aggressione come una reazione emotiva, comprensibile nel contesto di una separazione difficile, è una visione che rischia di mandare un messaggio pericoloso, tanto per le vittime quanto per i colpevoli. L’imputato, ritenuto "sincero e persuasivo", resta così libero, condannato a una pena ridicola in relazione alla brutalità dei fatti.
La decisione del giudice Gallo ha scatenato reazioni dure da parte della parte civile. L’avvocata di Lucia, Annalisa Baratto, ha commentato duramente: «La sentenza viviseziona e mortifica la vittima, mentre è indulgente verso l'uomo che le ha sfondato il volto». Questo contrasto tra la brutalità dell’aggressione e la relativa leggerezza della pena inflitta all’aggressore ha sollevato numerosi interrogativi sulla capacità della giustizia di proteggere le donne dalla violenza domestica. La sentenza sembra ridurre il crimine a una “questione privata” che non merita la severità della legge.
Non solo la donna, ma anche i suoi figli sono stati coinvolti in questa tragica vicenda. I figli di Lucia, che si sono costituiti parte civile nel processo, si sono fatti promotori di una campagna contro la violenza di genere. Lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, i due giovani hanno affisso a scuola una foto del volto tumefatto della madre con la scritta: «Donne, denunciate subito». Un gesto forte, simbolico, ma anche carico di significato. I figli di Lucia non solo stanno cercando di fare giustizia per la madre, ma anche di sensibilizzare la società sul tema della violenza domestica, cercando di impedire che simili episodi vengano considerati “normali” o “comprensibili”.
La sentenza ha suscitato un’ondata di indignazione anche a livello politico. Paolo Ruzzola, capogruppo di Forza Italia, ha fortemente criticato la decisione del giudice, che ha condannato l’aggressore a una pena ridotta e ha ridotto la gravità dell’aggressione a una mera reazione “umana”. In un’intervista, Ruzzola ha dichiarato: «Non è accettabile che la violenza venga giustificata in questo modo, trasformando un crimine orrendo in un atto comprensibile». Il capogruppo ha chiesto con fermezza l’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affinché intervenga presso il CSM, chiedendo spiegazioni e sollecitando un riesame della motivazione di questa sentenza.
Questo caso non riguarda solo l'individuo coinvolto, ma la giustizia nel suo complesso. Se la violenza, seppur giustificata in un contesto familiare, viene minimizzata in questo modo, si rischia di alimentare una cultura della violenza che non solo diventa più difficile da combattere, ma anche più tollerata. La giustizia, che dovrebbe proteggere le vittime, rischia di scivolare verso una lettura relativista che non condanna fermamente gli abusi.
La politica non può rimanere in silenzio di fronte a una simile decisione. È fondamentale che il Presidente Mattarella prenda una posizione chiara, chiedendo spiegazioni sul linguaggio usato dal giudice. La sentenza di Torino rischia di essere un precedente che indebolisce la lotta contro la violenza sulle donne, e il Presidente, in quanto garante della Costituzione e dei diritti umani, ha il dovere di vigilare affinché simili episodi non diventino la norma. La giustizia non può mai giustificare la violenza come una “reazione umana”. È il momento di fermare questa pericolosa deriva e ribadire con forza che la violenza non è mai comprensibile, mai giustificabile, mai accettabile.
Paolo Ruzzola, capogruppo Forza Italia in Regione
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha un ruolo di garante della Costituzione e di supremo magistrato della Repubblica, e la sua posizione nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) è cruciale per il funzionamento del sistema giuridico italiano. Tuttavia, la sua influenza diretta su questioni di singole sentenze è limitata, anche se il suo potere di vigilanza sulla magistratura e sull'autonomia della giustizia è fondamentale. In questo contesto, la recente sentenza emessa dal giudice Paolo Gallo, che ha condannato l'aggressore di Lucia Regna a una pena di un anno e sei mesi per le lesioni inflitte, ha sollevato interrogativi su quale possa essere il ruolo di Mattarella e del CSM in caso di provvedimenti che appaiono problematici sotto il profilo giuridico, come quello in questione.
In quanto Presidente del CSM, Mattarella ha una funzione di garante dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Tuttavia, è importante chiarire che il Presidente della Repubblica non ha poteri esecutivi diretti sulle decisioni giuridiche prese dai singoli giudici. La sua posizione di presidente del CSM gli consente, tuttavia, di avere un ruolo cruciale nella supervisione dell’autonomia della giustizia e di intervenire in situazioni che coinvolgano gravi violazioni dei principi costituzionali o che sollevino dubbi sull’indipendenza della magistratura.
Nel caso della sentenza di Torino, la motivazione che ha portato l’aggressore di Lucia Regna ad essere condannato a una pena ridotta rispetto alle richieste della procura risulta problematica per il messaggio che trasmette alla società. Sebbene Mattarella non possa intervenire direttamente su singoli casi giudiziari, può svolgere una funzione di vigilanza e supervisione, chiedendo al CSM di rivedere la posizione del giudice Paolo Gallo o di approfondire la questione, soprattutto se la sentenza sembra andare contro il principio di tutela delle vittime di violenza domestica, una causa che Mattarella ha sempre sostenuto pubblicamente.
Il CSM è l’organo incaricato di tutelare l’indipendenza della magistratura e di garantire che i giudici agiscano con imparzialità, competenza ed equità. Ha il compito di gestire la carriera dei magistrati, monitorare l'operato giudiziario, promuovere l'efficienza del sistema giuridico e intervenire in caso di comportamenti illeciti o non conformi alla deontologia professionale. In questa prospettiva, il CSM ha la competenza di avviare procedimenti disciplinari nei confronti di magistrati che non rispettano le norme deontologiche o che compiono errori gravi nel loro operato.
Nel caso della sentenza di Torino, il CSM potrebbe essere chiamato a intervenire se si ritiene che il comportamento del giudice Paolo Gallo abbia violato i doveri professionali previsti dalla legge e dalla deontologia della magistratura. Ad esempio, la motivazione che ha giustificato l’aggressione come uno “sfogo umano” e che ha ridotto l’abuso fisico a una reazione “comprensibile” rischia di compromettere il principio che la violenza di genere non può essere mai giustificata, neppure da motivi familiari o emotivi. Il CSM, quindi, ha il potere di avviare un procedimento disciplinare per valutare se il giudice abbia agito in contrasto con le norme etiche e con le aspettative professionali della magistratura.
Sebbene il Presidente della Repubblica non abbia competenze dirette sulle decisioni giuridiche dei giudici, il suo ruolo è fondamentale come garante della Costituzione e della corretta applicazione della legge. In un caso come quello della sentenza di Torino, Mattarella potrebbe esercitare il suo potere di vigilanza istituzionale per garantire che i principi costituzionali di uguaglianza, rispetto della dignità umana e tutela dei diritti fondamentali siano rispettati. Mattarella può sollecitare un approfondimento da parte del CSM, chiedendo che l’organo competente valuti se la sentenza violi questi principi o se la motivazione data dal giudice sia inadeguata e in conflitto con le leggi vigenti.
Il Presidente ha la facoltà di sollecitare un intervento, anche pubblico, su tematiche che riguardano la giustizia e i diritti delle vittime, come nel caso della violenza domestica. Sebbene non possa annullare una sentenza, la sua intervento istituzionale sarebbe cruciale per mantenere alta l’attenzione pubblica sulla necessità di un sistema giuridico che tuteli efficacemente le donne e che non minimizzi mai la gravità della violenza.
Il Presidente Sergio Mattarella
Nel caso in cui il Presidente Mattarella solleciti l'intervento del CSM, quest'ultimo avrebbe la facoltà di esaminare la condotta del giudice coinvolto e di avviare un’indagine disciplinare. Il CSM potrebbe agire in due direzioni principali:
Riesame disciplinare: Se il CSM ritiene che la sentenza abbia violato i principi etici della magistratura, potrebbe decidere di avviare un'indagine disciplinare contro il giudice, che potrebbe portare a sanzioni, quali richiami, sospensioni o trasferimenti. La decisione del CSM dipenderebbe dalla gravità della violazione, che potrebbe consistere nel fatto che la motivazione della sentenza risulta contraria ai principi di non giustificazione della violenza e di rispetto della dignità delle vittime.
Raccomandazione di revisione: Anche se il CSM non ha il potere di modificare direttamente una sentenza, potrebbe consigliare al giudice o alla corte di rivedere il caso alla luce di una valutazione più approfondita delle circostanze legali e sociali. Il CSM potrebbe anche richiedere che la giustizia venga applicata in modo più rigoroso, specialmente quando le sentenze riguardano la violenza di genere.
Il caso della sentenza di Torino non riguarda solo un errore giuridico, ma una questione culturale. La motivazione data dal giudice, che considera «umanamente comprensibile» l'aggressione a una donna in un contesto di separazione, rischia di inviare un messaggio estremamente dannoso alla società. Una simile lettura degli eventi potrebbe far apparire come accettabile una forma di violenza che, invece, è totalmente inaccettabile. In un Paese come l’Italia, dove il fenomeno della violenza domestica è ancora troppo diffuso e dove le donne continuano a subire violenze, minimizzare una simile aggressione equivale a rinforzare la cultura della tolleranza degli abusi.
Il Presidente Mattarella, nel suo ruolo di garante della Repubblica, ha la responsabilità di garantire che la giustizia non solo rispetti la legge, ma che protegga la dignità e i diritti di tutti i cittadini, in particolare delle donne, che troppo spesso sono le prime vittime della violenza. La sua supervisione istituzionale è fondamentale per evitare che decisioni giuridiche come quella di Torino possano diventare un precedente che minacci di indebolire le leggi contro la violenza sulle donne.
Il Presidente della Repubblica Mattarella ha un potere limitato rispetto alla modifica diretta di sentenze, ma ha la possibilità di intervenire simbolicamente e istituzionalmente per garantire che la giustizia sia applicata correttamente, con un occhio attento alla protezione dei diritti fondamentali. Il CSM, dal canto suo, ha il compito di esercitare un controllo disciplinare sui magistrati, intervenendo nei casi in cui la condotta di un giudice risulti incompatibile con l’etica professionale e con i principi costituzionali.
In questo caso, l’appello di Paolo Ruzzola al Presidente Mattarella di intervenire presso il CSM è cruciale per garantire che la magistratura italiana rimanga saldamente ancorata ai principi di giustizia, tutela delle vittime e parità di genere. L'autonomia della giustizia deve sempre andare di pari passo con la responsabilità di proteggere i diritti di chi subisce violenza, e il Presidente della Repubblica ha la responsabilità di vigilare affinché ciò avvenga.
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