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Cronaca

Rifiutano biopsia e curano il figlio con i fanghi: il quattordicenne muore di tumore e i genitori finiscono a processo per omicidio

Il caso che riporta in aula la dottrina Hamer, tra pseudocure, illusioni e responsabilità penali

Rifiutano biopsia

Rifiutano biopsia e cure per fede nei fanghi: il quattordicenne muore di tumore e i genitori finiscono a processo per omicidio

La storia di Francesco G., quattordicenne di Costabissara morto nel gennaio 2024, torna oggi nelle aule di tribunale come simbolo di una deriva che ciclicamente attraversa il nostro Paese: il rifiuto delle cure scientifiche in nome di teorie alternative prive di fondamento. Il caso è approdato davanti al giudice con un capo d’imputazione pesante, omicidio con dolo eventuale, a carico dei genitori che, convinti dalla dottrina di Ryke Geerd Hamer, hanno negato al figlio le terapie consigliate dai medici dopo la diagnosi di tumore osseo. Secondo il pubblico ministero Paolo Fietta, la coppia avrebbe accettato il rischio di lasciar morire il ragazzo, pur di non sottoporlo a chemio, radioterapia o persino a una biopsia. Una scelta che ripropone con forza il confine tra libertà di cura e dovere di protezione, tra diritto all’autodeterminazione e responsabilità genitoriale.

Francesco aveva ricevuto la diagnosi al Rizzoli di Bologna nel marzo 2023. Gli specialisti avevano spiegato con chiarezza che serviva una biopsia per identificare il tipo di neoplasia e avviare subito un protocollo terapeutico. La famiglia però si oppose, cercando conforto altrove. A pesare fu anche l’incontro con un medico padovano, sostenitore delle teorie di Hamer, che bollò la biopsia come intervento “troppo invasivo” e “dannoso per l’anima del ragazzo”. Da quel momento iniziò la discesa verso un percorso fatto di fanghi, impacchi d’argilla, massaggi e qualche Brufen, nulla di più. I farmaci prescritti in ospedale, dagli antibiotici all’eparina, vennero esclusi.

Alla base di queste convinzioni vi è la “Nuova Medicina Germanica”, la dottrina elaborata da Hamer negli anni ’80 dopo la morte del figlio Dirk. Per il medico tedesco radiato e più volte incarcerato, i tumori non sarebbero altro che la conseguenza di traumi emotivi non risolti, conflitti biologici che il corpo trasforma in proliferazione cellulare. Per guarire, secondo lui, non servono bisturi né farmaci, ma la risoluzione del trauma interiore. Una teoria che ha trovato terreno fertile in Veneto e in altre zone d’Europa, nonostante le condanne subite dal suo ideatore e le numerose morti legate al rifiuto delle cure.

La vicenda di Francesco ricorda da vicino quella di Eleonora Bottaro, morta a 18 anni nel 2016 per una leucemia che i medici ritenevano curabile. Anche in quel caso i genitori si affidarono alle teorie di Hamer, convinti che la chemioterapia fosse più pericolosa della malattia. Condannati fino in Cassazione per omicidio colposo omissivo, divennero il simbolo nazionale del pericolo rappresentato da queste pseudocure. La differenza, in questo nuovo processo, sta nell’età del minore: Eleonora era quasi maggiorenne e aveva espresso adesione alle scelte dei genitori, Francesco aveva solo 14 anni e non aveva strumenti per opporsi.

I genitori di Costabissara non sono attivisti né militanti della Nuova Medicina Germanica. Non tenevano blog né diffondevano conferenze, ma si erano lasciati affascinare da incontri e comunità alternative, come quella in Toscana che propone percorsi di autoguarigione legati alle 5LB, le Cinque Leggi Biologiche codificate da Hamer. Qui hanno cercato di ridare fiducia al figlio, convinti che il suo tumore fosse nato da piccole delusioni sportive e dalle tensioni con gli amici, vissute come ferite emotive profonde. Un’interpretazione che, alla prova dei fatti, si è rivelata fatale.

Il peggioramento di Francesco fu rapido. Quando i genitori, disperati, lo portarono all’ospedale di Perugia, era ormai troppo tardi. La prima spiegazione fornita ai medici fu che il ragazzo si fosse fatto male cadendo dallo skateboard. Una versione che crollò subito, davanti all’evidenza clinica. Gli furono somministrate cure palliative, ma non c’era più nulla da fare. Francesco è morto il 14 gennaio 2024, lasciando aperta una ferita che oggi, con il processo, diventa anche questione giudiziaria.

Il caso ha riportato alla ribalta la diffusione sotterranea delle teorie hameriane, che continuano a circolare nonostante le smentite della comunità scientifica. Studi e sentenze hanno più volte ribadito l’assoluta pericolosità di questi approcci, eppure gruppi e comunità, spesso legati anche ai movimenti No Vax, ne perpetuano la diffusione. Secondo ricerche dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono centinaia le famiglie che si sono rivolte a pratiche alternative di questo tipo, con esiti spesso drammatici.

Il processo di Vicenza sarà cruciale anche per definire la responsabilità penale dei genitori in casi di rifiuto delle cure mediche. L’accusa di omicidio con dolo eventuale implica che la coppia non solo abbia omesso i trattamenti salvavita, ma che abbia accettato consapevolmente il rischio di morte del figlio. Una linea dura che potrebbe fare giurisprudenza, soprattutto considerando l’età della vittima e l’assenza di un consenso diretto da parte sua. La difesa, guidata dall’avvocato Lino Roetta, proverà invece a dimostrare che i genitori erano in buona fede, vittime a loro volta di suggestioni e manipolazioni.

Il nodo di fondo resta quello dell’equilibrio tra libertà individuale e tutela della salute pubblica. Le teorie di Hamer, con il loro richiamo alla guarigione spirituale e al rifiuto della medicina “ufficiale”, continuano ad attrarre chi teme le terapie invasive, chi cerca speranza al di fuori degli ospedali. Ma quando a pagare il prezzo di queste scelte è un minore, la linea di confine tra convinzione personale e responsabilità penale si fa sottile e incandescente.

Il Veneto, ancora una volta, si trova al centro di una vicenda che richiama le fragilità di un territorio dove la diffidenza verso le istituzioni mediche ha radici profonde. Non è un caso che proprio qui, dopo la morte di Eleonora, siano nate associazioni di sensibilizzazione per contrastare la diffusione delle pseudocure. Ma a distanza di otto anni, la storia di Francesco dimostra che il fenomeno non si è affatto esaurito.

Il dibattimento che inizierà a ottobre non sarà soltanto un processo ai genitori, ma anche alla capacità dello Stato e della comunità scientifica di arginare derive pericolose. Perché se è vero che la medicina non è infallibile, è altrettanto vero che abbandonarla in favore di terapie illusorie significa condannare chi non ha voce in capitolo, come i bambini e gli adolescenti, a un destino di sofferenza e morte evitabili. La vicenda giudiziaria sarà osservata con attenzione non solo a Vicenza, ma in tutta Italia, come banco di prova di un principio: il diritto alla vita e alle cure non può essere sacrificato sull’altare di credenze senza fondamento.

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