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Cronaca
10 Settembre 2025 - 22:20
Tre sorelle si liberano da un debito ereditato di 70mila euro grazie a una sentenza storica (foto di repertorio)
Una relazione interrotta, una denuncia dai toni drammatici, un’aula di tribunale chiamata a stabilire i confini tra verità giudiziaria e rancori personali. È questo il contesto che ieri, a Torino, ha portato all’assoluzione di un infermiere del 118 dall’accusa di maltrattamenti e lesioni nei confronti dell’ex fidanzata, all’epoca volontaria dello stesso servizio di soccorso. Una vicenda nata con toni gravi, che col tempo si è sgretolata sotto il peso delle testimonianze, delle consulenze tecniche e persino della stessa richiesta della procura, che al termine del dibattimento ha sollecitato un verdetto di assoluzione.
La decisione del giudice ha posto fine a un procedimento che aveva visto l’imputato trascinato davanti al tribunale con contestazioni pesanti, in una fase iniziale aggravate persino dall’ipotesi di violenza sessuale, poi stralciata dal fascicolo. Restavano però le accuse di maltrattamenti e di lesioni, imputazioni che hanno retto per mesi l’impianto accusatorio, alimentate dal racconto della donna e da un quadro che sembrava inchiodare l’uomo. In aula, però, il copione si è ribaltato.
Il pubblico ministero, dopo aver ascoltato i testi e preso atto della documentazione prodotta dalla difesa, ha riconosciuto che non vi erano elementi sufficienti per sostenere oltre la responsabilità penale dell’infermiere. Da qui la richiesta di assoluzione, accolta dal giudice con formula piena. Un epilogo tutt’altro che scontato, considerata la gravità delle imputazioni iniziali e la durezza dei termini usati dalla ex compagna nel descrivere l’uomo, da lei definito in più occasioni un “narcisista maligno”.
Il difensore dell’imputato, l’avvocato Stefano Tizzani, ha portato in aula un consulente tecnico che ha segnato una svolta. Secondo la perizia di parte, la donna sarebbe affetta da un disturbo borderline di personalità, una condizione che in alcuni casi può comportare una “visione distorta della realtà”. Una valutazione clinica che non è passata inosservata e che il tribunale ha ritenuto rilevante, tanto da considerarla nella formazione del convincimento finale. A fronte di questa lettura alternativa, il quadro accusatorio è apparso meno solido, fino a sgretolarsi del tutto.
Nel frattempo, il profilo personale dell’infermiere emergeva con tratti opposti a quelli descritti nella denuncia: l’uomo, come è stato evidenziato in dibattimento, stava affrontando uno stato depressivo legato a difficoltà recenti, una fragilità che strideva con la figura di persecutore implacabile delineata dalla controparte. La sua vita, segnata da problemi personali e da un crollo psicologico, restituiva un’immagine molto lontana da quella di un carnefice domestico.
Il caso, che si era aperto con clamore e accuse devastanti, si è dunque chiuso con un assoluzione piena, sancendo la non responsabilità dell’infermiere. Resta però il segno di una vicenda giudiziaria che ha inciso profondamente sulle vite dei protagonisti, mostrando ancora una volta quanto fragile e complesso possa essere il confine tra conflitto di coppia e rilevanza penale.
L'Avvocato Stefano Tizzani
In aula, al termine della lettura della sentenza, l’uomo è apparso sollevato, consapevole di aver attraversato mesi difficili sotto il peso di accuse che rischiavano di travolgerlo professionalmente e umanamente. L’ex compagna, dal canto suo, ha visto cadere le proprie accuse in un processo dove la ricostruzione dei fatti non ha retto all’esame incrociato dei testimoni e dei consulenti.
Il verdetto di Torino non chiude soltanto un fascicolo penale, ma lascia aperto un tema più ampio: quello delle denunce che nascono nel solco di relazioni finite male, dove emozioni, rancori e sofferenze personali possono trasformarsi in un terreno scivoloso per la giustizia.
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