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Cronaca
08 Settembre 2025 - 18:47
Marella Caracciolo e Giovanni Agnelli
La lunga vicenda giudiziaria legata alla successione di Marella Caracciolo di Castagneto, vedova di Gianni Agnelli, arriva a un punto di svolta che segna una pagina importante non solo per la storia della famiglia più potente d’Italia, ma anche per l’immagine di Torino e del capitalismo nazionale. A sei anni dalla morte della marchesa, avvenuta nel febbraio 2019, la Procura della Repubblica del capoluogo piemontese ha chiuso le indagini preliminari e ha depositato le richieste definitorie. In un comunicato firmato dal procuratore Giovanni Bombardieri sono stati fissati i contorni di una vicenda che ha avuto al centro numeri giganteschi: redditi non dichiarati per 248,5 milioni di euro e una massa ereditaria non sottoposta a tassazione per circa un miliardo. Di fronte a queste contestazioni, gli indagati hanno provveduto a versare all’Erario 183 milioni di euro, una cifra che la Procura sottolinea come estinguente integralmente il debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi.
Lapo e John Elkann
Il procedimento penale, avviato nel 2023, ha coinvolto personaggi di primo piano come Gianluca Ferrero, commercialista di fiducia della famiglia e oggi presidente della Juventus, il notaio svizzero Urs Robert von Grünigen, i fratelli John Philip, Lapo Edovard e Ginevra Elkann, e il notaio torinese Remo Maria Morone. Le ipotesi di reato erano pesanti: dichiarazione infedele, truffa aggravata ai danni dello Stato e, per Ferrero e Morone, anche falso in atto pubblico. Con i pagamenti effettuati e i chiarimenti istruttori, la Procura ha tracciato le sue conclusioni: archiviazione integrale per von Grünigen, Lapo e Ginevra Elkann; archiviazione parziale per John Elkann e Ferrero, limitata ad alcune annualità del reato di dichiarazione infedele; parere favorevole alla messa alla prova per John Elkann; via libera al patteggiamento per Ferrero; avviso di conclusione delle indagini per Morone, unico a restare davvero esposto a un possibile rinvio a giudizio. La Procura, come doveroso, ricorda che per tutti vale il principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva.
Questa conclusione è il punto di arrivo di un percorso tortuoso. Alla morte di Marella Caracciolo la residenza ufficiale era in Svizzera, a Gstaad, ma i dubbi sulla reale permanenza elvetica iniziarono subito a emergere. L’inchiesta della Procura di Torino, aperta nel 2023, ha messo in fila i giorni effettivi trascorsi in Italia: 298 nel 2015, 227 nel 2018, numeri incompatibili con una residenza svizzera. La tesi accusatoria è stata netta: la marchesa viveva stabilmente in Italia e qui avrebbe dovuto pagare le tasse su redditi e patrimonio. Nel 2024 emersero poi appunti della segretaria, e-mail interne e persino un “vademecum della frode” che indicava come sostenere la residenza elvetica, un quadro che aggravò i sospetti e portò a un provvedimento clamoroso: il sequestro preventivo di 74,8 milioni di euro nei confronti degli Elkann, di Ferrero e di von Grünigen. I difensori reagirono presentando ricorsi al Tribunale del Riesame, rivendicando la storicità della residenza svizzera, risalente agli anni Settanta, e sostenendo che non vi fosse stata alcuna frode. Ma intanto la Guardia di Finanza continuava a scavare, certificando una massa patrimoniale enorme, che tra redditi ed eredità non dichiarati superava complessivamente 1,2 miliardi di euro.
La novità di oggi, settembre 2025, è che lo Stato ha recuperato una cifra imponente: 183 milioni di euro, versati dagli indagati per estinguere il debito tributario. Ed è su questa base che la Procura di Torino ha calibrato le sue decisioni, aprendo la strada a soluzioni alternative al processo o ad archiviazioni. È una svolta che non cancella il peso delle contestazioni, ma ridisegna lo scenario penale: solo per il notaio Morone resta l’ipotesi di processo, mentre per gli altri il procedimento sembra avviarsi verso la chiusura.
Margherita Agnelli
La storia della successione Caracciolo, però, non è soltanto una vicenda fiscale. È anche il riflesso delle lotte interne alla dinastia Agnelli-Elkann e del cuore pulsante del suo impero finanziario. Al centro ci sono la holding Dicembre e la cassaforte Exor N.V.. La prima è la società con cui i tre fratelli Elkann – John, Lapo e Ginevra – controllano Exor. È una struttura piccola, ma decisiva, perché attraverso Dicembre passa il potere di voto sulla holding olandese. La seconda è il gioiello di famiglia: Exor è quotata in Borsa, ha sede legale nei Paesi Bassi ed è il principale azionista di Stellantis, controlla Ferrari, Juventus, Iveco, il gruppo editoriale GEDI, oltre ad avere partecipazioni e investimenti che spaziano dalla sanità alle assicurazioni. È la cassaforte miliardaria che proietta il nome Elkann nel capitalismo internazionale.
È in questo contesto che le contestazioni fiscali sulla residenza di Marella Caracciolo assumono un peso enorme. Non riguardano solo un testamento, ma il modo in cui la famiglia ha custodito e organizzato il suo patrimonio. La battaglia civile avviata da Margherita Agnelli contro i figli per la gestione dell’eredità e della holding Dicembre ha amplificato lo scontro, trasformando la vicenda in un terremoto non solo giudiziario, ma anche familiare e societario. Margherita sostiene da anni che i figli abbiano occultato beni e ricchezze ereditate dalla nonna, e le sue azioni hanno contribuito a tenere viva la tensione anche davanti ai magistrati.
La politica e l’opinione pubblica hanno seguito con attenzione l’evolversi del caso. C’è chi ha sottolineato come questa vicenda dimostri che neppure i grandi patrimoni sono intoccabili, e chi invece critica il fatto che con un maxi-assegno allo Stato si possano chiudere inchieste miliardarie. La cifra di 183 milioni di euro, che per i cittadini comuni appare astronomica, è stata letta anche come il prezzo pagato per evitare un processo mediatico devastante. Per molti resta la sensazione che le regole, pur formalmente rispettate, finiscano per avere un peso diverso a seconda di chi le affronta.
Torino ha vissuto tutto questo con un misto di stupore e amarezza. La città che vide nascere e crescere l’impero Agnelli ha assistito, decenni dopo, a una sorta di resa dei conti con il fisco. La morte di Marella Caracciolo ha fatto emergere non solo la fragilità di un impianto di residenze fiscali costruito all’estero, ma anche il volto meno celebrato di una dinastia che si è sempre presentata come guida del capitalismo italiano. La Procura, con il suo comunicato, ha sancito una verità scomoda: al di là delle carte svizzere, Marella viveva in Italia e qui doveva pagare le tasse.
Oggi il procedimento si avvia verso la conclusione. Archiviazioni, patteggiamenti e messe alla prova definiscono il quadro penale, mentre lo Stato incassa e chiude il conto con una delle più grandi contestazioni fiscali mai mosse a una famiglia italiana. Ma la memoria di un patrimonio da un miliardo sottratto a lungo alla tassazione resta scolpita. Ed è questa la ferita simbolica più grande: l’eredità Caracciolo non è solo una questione di soldi, è la dimostrazione che persino le dinastie più potenti possono finire sotto la lente del fisco e della giustizia, e che dietro i palazzi del potere si nascondono fragilità che il tempo, prima o poi, porta a galla.
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La messa alla prova è un istituto previsto dal codice penale italiano (art. 168-bis e seguenti) che permette all’imputato di sospendere il processo e svolgere un percorso alternativo, fatto di:
lavori di pubblica utilità, attività sociali o volontariato;
programmi di reinserimento, stabiliti dal tribunale insieme ai servizi sociali;
eventuali condotte riparatorie, come il risarcimento del danno.
Se la messa alla prova viene svolta correttamente e portata a termine con esito positivo, il reato si estingue e il processo viene chiuso senza condanna. In pratica, è un modo per “evitare” il processo penale tradizionale, a condizione di rispettare gli impegni concordati.
Nel caso di John Elkann, la Procura di Torino ha dato parere favorevole a questa strada: significa che non andrà subito a processo, ma potrà chiedere al giudice di essere ammesso a un programma di lavori socialmente utili o attività riparatorie. Se completerà con successo, il procedimento penale a suo carico si chiuderà.
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