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19 Agosto 2025 - 22:01
Una foto tratta da un post
Si chiama “Mia moglie ❤️❤️❤️” ed è uno di quei posti del web che, solo a nominarli, fanno alzare più di un sopracciglio. Ufficialmente è un gruppo Facebook, ufficiosamente è diventato un grande condominio virtuale del voyeurismo domestico, con oltre trentamila iscritti che ogni giorno si dilettano a postare foto delle proprie consorti. Non parliamo di immagini patinate da copertina, ma di scatti quotidiani, rubati, spesso intimi e quasi sempre senza consenso: mogli che prendono il sole in giardino, mogli che cucinano in cucina, mogli addormentate sul divano. Un campionario che, se fosse rimasto nell’album privato di famiglia, sarebbe rimasto innocuo. Ma una volta caricato online, diventa materiale da like, commenti ammiccanti e, inevitabilmente, indignazione pubblica.
Il meccanismo è tanto semplice quanto disturbante: il marito posta la foto, gli altri utenti approvano, commentano, fantasticano. E la moglie? Lei, nella maggior parte dei casi, non ne sa nulla. Qui non si tratta di esibizionismo consensuale, ma di quella sottile e velenosa deriva culturale che scambia la persona per un oggetto. Eppure, gli utenti difendono il loro spazio: c’è chi si vanta di aver trovato finalmente un luogo dove “condividere” la propria vita matrimoniale, chi insinua che in fondo le mogli dovrebbero sentirsi lusingate. In altre parole, un rovesciamento tragicomico in cui il mancato consenso diventa, paradossalmente, l’ingrediente che accende il desiderio.
La notizia, com’era prevedibile, ha fatto il giro dei social. Pagine femministe come No justice no peace e lhascrittounafemmina hanno denunciato il gruppo definendolo per quello che è: pornografia non consensuale e misoginia sistemica. La Polizia Postale è stata allertata e in molti hanno già promesso di sporgere denuncia. Nel frattempo, i difensori del gruppo – con una certa spocchia da club privato – hanno annunciato la creazione di nuovi spazi, più esclusivi e a loro dire “autentici”, accessibili solo alle “coppie reali”. Una toppa peggiore del buco, se possibile.
Sul piano legale, poi, non ci sarebbe molto da discutere: pubblicare foto senza consenso è reato, punto. Non servono codici segreti o interpretazioni creative, basta aprire il Codice Penale. Ma nel Paese dove la privacy è sempre stata vissuta con un certo fatalismo, e dove la frase “ma che sarà mai” accompagna spesso comportamenti di questo tipo, non sorprende che un gruppo del genere sia riuscito a proliferare fino a raggiungere decine di migliaia di iscritti.
C’è un che di grottesco, quasi da commedia all’italiana, in questa vicenda: mariti che si trasformano in paparazzi casalinghi, mogli ignare che diventano star di un palcoscenico clandestino, e un pubblico di spettatori che applaude da dietro lo schermo. Se non fosse tragico, farebbe sorridere. Ma resta la sostanza: la mercificazione silenziosa del corpo femminile, la normalizzazione di una violenza che si traveste da goliardia, la complicità anonima che diventa cultura condivisa.
E il bello, si fa per dire, è che molti degli stessi iscritti non solo non si vergognano, ma rivendicano il loro ruolo con orgoglio, come se avessero scoperto una nuova frontiera della socialità digitale. Commenti che oscillano tra l’ammiccante e il volgare riempiono le bacheche, con uomini che si danno pacche virtuali sulle spalle e alimentano questa parodia del matrimonio trasformato in reality. Qualcuno si illude persino che le mogli, una volta scoperte, possano sentirsi “flattered”, lusingate dal fatto di essere diventate il centro dell’attenzione. Come se la dignità femminile fosse un bene sacrificabile sull’altare di qualche like in più.
Il lato ironico – quello che rende questa storia pruriginosa ma anche tristemente comica – è proprio questo: mariti che si credono audaci, pronti a condividere con il mondo “il loro gioiello di famiglia”, senza rendersi conto che stanno solo confermando un’arretratezza culturale imbarazzante. E nel frattempo, Facebook, che si riempie la bocca di policy severe e algoritmi di controllo, lascia proliferare per settimane e mesi gruppi come questo, dove le regole della community diventano carta straccia.
Non serve un grande sforzo di immaginazione per capire quanto tutto ciò sia offensivo e dannoso per le donne coinvolte. Alcune sono fotografate di nascosto mentre passeggiano per strada o prendono il sole in spiaggia, altre immortalate in casa, in atteggiamenti di totale naturalezza e vulnerabilità. Non parliamo di modelle consenzienti, ma di mogli che magari al momento dello scatto pensavano solo a preparare la cena o a rilassarsi dopo una giornata di lavoro. E invece, eccole trasformate in involontarie attrici di un palcoscenico digitale che nessuno ha mai chiesto loro di salire.
Eppure, il successo del gruppo rivela una verità scomoda: esiste un vasto pubblico pronto a consumare e applaudire questo tipo di contenuti. Non è il gesto isolato di qualche individuo disturbato, ma una partecipazione di massa, una “normalità deviata” che rende tutto più inquietante. L’idea che in Italia – nel 2025 – trentamila uomini abbiano trovato naturale iscriversi a un club del genere racconta molto più di un’indagine sociologica di cento pagine. Racconta un Paese che si indigna a parole, ma che davanti alla tentazione dello sguardo proibito spesso non resiste.
In fondo, il gruppo “Mia moglie” racconta molto più di quanto vorrebbe. Non è solo un album di foto, ma lo specchio di un Paese in cui certi confini sono ancora considerati flessibili e in cui il consenso viene trattato come un optional. Un voyeurismo di massa che non ha nemmeno più bisogno di nascondersi nei vicoli oscuri: oggi trova casa su Facebook, con tanto di cuoricini nel titolo. E viene quasi da pensare che il vero scandalo non siano le foto in sé, ma la normalità con cui migliaia di uomini hanno deciso che sì, si può fare. Perché, dopotutto, “è solo mia moglie”.
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