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Cronaca

Panico in carcere: detenuto sfonda la porta dell’infermeria e colpisce due agenti

Cercava la dottoressa per protestare, ma l’aggressione finisce in ospedale con dieci giorni di prognosi

Panico in carcere

Panico in carcere: detenuto sfonda la porta dell’infermeria e colpisce due agenti

Un’altra giornata di violenza carceraria in Piemonte. Stavolta è accaduto nella casa circondariale di Cuneo, dove nella tarda mattinata di ieri un detenuto italiano, in preda a una crisi di rabbia, ha sfondato la porta dell’infermeria per aggredire una dottoressa in servizio. Due agenti della polizia penitenziaria sono rimasti feriti nel tentativo di bloccarlo: uno di loro ha ricevuto un pugno in pieno volto, l’altro è stato scaraventato a terra durante la colluttazione. A denunciare l’accaduto è il sindacato Osapp, che parla di un "episodio grave" e chiede interventi urgenti per la sicurezza del personale.

Secondo quanto ricostruito dal sindacato, tutto è cominciato con la rabbia del detenuto nei confronti dell’area sanitaria del carcere, che avrebbe – a suo dire – ignorato le sue richieste. Una lamentela che si è trasformata in una vera e propria aggressione: l’uomo ha letteralmente sradicato la porta dell’infermeria con violenza e ha cercato di raggiungere la dottoressa presente. Solo l’intervento tempestivo dell’agente di servizio ha impedito che la situazione degenerasse ulteriormente. Ma il prezzo dell’intervento è stato alto.

Il poliziotto è stato colpito con un violento pugno al volto e accompagnato subito al pronto soccorso dell’ospedale di Cuneo. Per lui la prognosi è di dieci giorni. Anche un secondo collega, accorso a dare supporto, è stato buttato a terra, riportando lievi contusioni. Il detenuto è stato successivamente immobilizzato e riportato in cella, ma non si hanno al momento notizie su eventuali provvedimenti disciplinari o trasferimenti.

L’episodio riaccende i riflettori sulle condizioni critiche in cui lavora il personale penitenziario. Le aggressioni in carcere non sono una novità. Anzi, negli ultimi mesi si sono moltiplicate. Secondo l’Osapp, il carcere di Cuneo, classificato come istituto ad alta sicurezza, è da tempo in sofferenza sia per carenza di organico che per una gestione sempre più difficile dei detenuti con problematiche psichiatriche o comportamenti imprevedibili.

Il segretario regionale del sindacato ha parlato apertamente di “una situazione insostenibile”, aggiungendo che “ogni giorno gli agenti devono gestire aggressioni, minacce, proteste violente, autolesionismi, senza strumenti né personale adeguato”. In molti istituti, Cuneo incluso, i colloqui con medici e psicologi avvengono in condizioni di estrema vulnerabilità, senza barriere di protezione e con personale ridotto al minimo.

Dietro questo episodio, infatti, si intravede un problema ben più ampio: la tenuta psicologica dei detenuti e la fragilità del sistema sanitario interno alle carceri. L’uomo autore dell’aggressione lamentava di non essere ascoltato. Ma quante volte queste richieste, per quanto alterate e violente, nascondono un bisogno reale di cura o attenzione medica? Le aree sanitarie degli istituti penitenziari sono spesso sottodimensionate, con medici che si alternano su turni brevi e carichi eccessivi, mentre il disagio psichico nei penitenziari continua ad aumentare.

Anche in Piemonte, negli ultimi anni, il tasso di detenuti affetti da disturbi mentali è cresciuto, e le strutture non sono pronte ad affrontare questa emergenza. I pochi posti disponibili nelle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) sono spesso occupati, costringendo i direttori degli istituti penitenziari a trattenere persone incompatibili con il regime detentivo ordinario. Il risultato è un aumento esponenziale degli episodi di violenza, come quello avvenuto a Cuneo.

Nel 2024, secondo il rapporto dell’associazione Antigone, in Italia si sono registrate oltre 1.000 aggressioni a danno degli agenti penitenziari, più di 600 autolesionismi e numerosi tentativi di suicidio. Il carcere è diventato una trappola esplosiva in cui convivono disagio sociale, abbandono sanitario e tensioni quotidiane. E chi paga il prezzo più alto sono proprio gli agenti e gli operatori.

L’aggressione di Cuneo è l’ennesimo campanello d’allarme. Ma le risposte istituzionali tardano ad arrivare. Mentre i sindacati chiedono con urgenza un piano straordinario per il rafforzamento del personale e la creazione di unità specializzate nella gestione dei detenuti fragili, il ministero tace. Nessun potenziamento, nessuna riforma strutturale, solo l’illusione di poter gestire con lo stesso modello carcerario situazioni sempre più complesse.

E così si va avanti, in attesa del prossimo pugno. Perché finché la salute mentale sarà ignorata, finché gli agenti resteranno pochi e mal tutelati, finché le dottoresse saranno lasciate sole dietro una porta di legno, la violenza continuerà ad esplodere. Ogni giorno. In ogni carcere.

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