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Cronaca

Esplosione di via Nizza, la rabbia corre sui social contro l’indagato: “Devi morire, detto da tutti noi di Mazzè”

Offese e minacce sul profilo della guardia giurata accusata dell’omicidio di Jacopo Peretti

Esplosione di via Nizza

Offese e minacce sul profilo della guardia giurata accusata dell’omicidio di Jacopo Peretti

“Assassino”, “idiota”, “devi morire”. Sono queste alcune delle frasi cariche d’odio che stanno invadendo il profilo social di Giovanni Zippo, la guardia giurata di 40 anni accusata di essere il responsabile dell’esplosione che ha rasi al suolo la palazzina di via Nizza 389 a Torino, uccidendo Jacopo Peretti, 33 anni, originario di Mazzè.

La rabbia si è trasformata in una valanga di insulti senza filtro, un tribunale parallelo online, in cui Zippo è già stato condannato dalla piazza digitale. La notizia della sua incriminazione ha innescato una reazione emotiva violenta da parte di amici, conoscenti e semplici utenti, che hanno riempito i suoi post di minacce esplicite, commenti offensivi e auguri di morte.

Sei un morto che cammina”, scrive un utente. “Ti troverò ovunque tu sia”, rilancia un altro. Il tono è quello della vendetta, della rabbia a caldo, della giustizia fai-da-te che non conosce presunzione d’innocenza né attende i tempi del processo. Tra le frasi più ricorrenti c’è un’amara formula che gira tra gli abitanti di Mazzè, paese natale della vittima: “Devi morire, detto da tutti noi di Mazzè”. Come se l’intera comunità fosse stata colpita da una perdita impossibile da elaborare.

C’è chi si ferma un attimo a riflettere, prova a chiedere rispetto per il dolore, magari solo invocando l’attesa del giudizio. Ma ogni tentativo di moderazione viene schiacciato dalla furia collettiva. I pochi che provano a difendere Zippo o a invocare cautela vengono immediatamente travolti da insulti, costretti a cancellare i commenti per evitare l’ondata d’odio.

Tra le voci più taglienti spicca quella di Erica, che scrive: “Hai tolto la vita a una persona meravigliosa. Spero ogni giorno che tu possa ricevere il peggio possibile, ogni secondo della tua vita”. E ancora Patrizia, che affonda con parole dure: “Assassino è dire poco. Sei un assassino idiota, stupido ed egoista: quelli della peggior specie”. Il riferimento alla vicenda sentimentale tra Zippo e l’ex compagna, che secondo l’accusa sarebbe il movente del gesto estremo, è esplicito. “La tua ex non ti voleva più? E allora? La vita è così”, scrive la donna, sottolineando quanto l’azione sia, per molti, ingiustificabile in qualsiasi contesto emotivo.

Jacopo Peretti, morto tra le macerie dell’appartamento esploso, era molto amato nel suo paese. La notizia della sua morte ha colpito duramente Mazzè, dove in tanti lo ricordano come una persona buona, riservata, gentile, che nulla aveva a che fare con la relazione ormai conclusa tra Zippo e l’ex compagna. Una vittima del tutto estranea a eventuali tensioni, eppure cancellata da un gesto che ha travolto vite e coscienze.

Secondo gli inquirenti, Zippo avrebbe volontariamente provocato la fuga di gas che ha causato l’esplosione, con l’intento – ancora tutto da accertare – di farla finita o colpire la sua ex. Ma l’esplosione ha avuto conseguenze imprevedibili e devastanti, uccidendo Jacopo e lasciando una ferita aperta nel quartiere e nella città. Oggi il quarantenne si trova in carcere, in attesa degli sviluppi giudiziari. Ma la condanna mediatica è già in corso.

Non è la prima volta che un caso di cronaca sfocia in una tempesta di commenti violenti sui social. La giustizia digitale, rapida, feroce e impersonale, sovrasta spesso il diritto alla difesa e la stessa dignità dell’imputato, ancora non processato. È un meccanismo sempre più frequente, amplificato dal dolore, dall’indignazione, dalla potenza dei social media come luogo di sfogo collettivo.

Questo però non è solo un fatto di cronaca, ma un caso esemplare di giustizia emotiva, in cui la sofferenza si trasforma in odio, e la rete in gogna pubblica. Chi ha perso un amico, un parente o un conoscente sente il bisogno di urlare, denunciare, esigere punizione, anche prima che le indagini si concludano.

Ma resta un interrogativo amaro: è possibile accettare il dolore senza cedere alla violenza verbale? È possibile trasformare la rabbia in memoria, il lutto in consapevolezza, senza delegare alla rete il compito della vendetta?

Mentre Zippo è rinchiuso in una cella, i suoi profili continuano a essere bersaglio di odio. E mentre si attende che la giustizia segua il suo corso, la condanna del popolo digitale non aspetta sentenze. Per Jacopo, per chi lo amava, per chi ancora oggi cerca risposte, la giustizia deve arrivare nei tribunali, non nei commenti sotto un post. E la memoria, per non essere sporcata, ha bisogno di silenzio, non di odio.

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