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Cronaca

Scandalo funebre: finti funerali ecologici, 190 cadaveri accatastati e urne piene di cemento

Condannato l'imprenditore che ingannava i parenti dei defunti

Scandalo funebre

Scandalo funebre: finti funerali ecologici, 190 cadaveri accatastati e urne piene di cemento

Una promessa tradita, una fiducia calpestata e un orrore inimmaginabile. È ciò che si cela dietro la vicenda che ha sconvolto la cittadina di Penrose, in Colorado, dove Jon Hallford, co-proprietario della casa funeraria “Return to Nature Funeral Home”, è stato condannato a 20 anni di carcere per una serie di crimini raccapriccianti, che hanno infranto la dignità di 190 defunti e sconvolto le famiglie che si erano affidate a lui nel momento più vulnerabile.

Il nome della sua impresa suonava come una garanzia di rispetto per l’ambiente e per la memoria: “ritornare alla natura”, senza l’impiego di sostanze chimiche, con sepolture semplici, alternative e pulite. Ma dietro quel messaggio etico e rassicurante si nascondeva uno dei più gravi scandali legati ai servizi funebri mai avvenuti negli Stati Uniti. Le autorità, intervenute nell’ottobre 2023, hanno scoperto un capannone infestato da insetti e ratti, nel quale erano abbandonati in decomposizione 190 cadaveri, molti dei quali da mesi. Alle famiglie venivano invece consegnate urne piene di calcestruzzo, spacciato per le ceneri dei propri cari.

Una truffa tanto cinica quanto lucida, portata avanti per anni da Hallford con il coinvolgimento della moglie Carie Hallford, anch’essa indagata. I due avevano raccolto oltre 130 mila dollari fingendo di fornire servizi funebri ecologici. Ma il danno più grave non è stato economico. È stato emotivo, umano, devastante. I pubblici ministeri hanno parlato di “dolore inflitto consapevolmente”, ricordando come alcune famiglie abbiano scoperto di aver conservato false reliquie, mentre i corpi dei propri cari marcivano dimenticati tra muffe e sacchi di plastica.

Durante l’indagine è emerso anche che Hallford aveva approfittato della pandemia per ottenere fraudolentemente circa 900 mila dollari in fondi federali destinati alle piccole imprese. Soldi che sarebbero stati spesi in SUV di lusso, criptovalute e beni personali, con un cinismo che ha ulteriormente aggravato la sua posizione. Al momento dell’arresto, Hallford aveva persino tentato di giustificare la presenza dei corpi affermando di praticare la tassidermia. Una spiegazione che ha lasciato basiti gli investigatori e che ha pesato nella definizione della pena.

Durante la lettura della sentenza, la giudice federale Nina Wang ha definito il caso “oltre la frode ordinaria”, parlando di “devastazione morale” e di una “violazione totale di ogni codice etico e civile”. Per questo motivo, la corte ha ritenuto che solo una pena esemplare potesse restituire almeno in parte il senso di giustizia alle famiglie colpite.

Ma la vicenda non è ancora chiusa. Jon Hallford dovrà rispondere anche davanti a un tribunale dello Stato del Colorado per abuso e vilipendio di cadavere, mentre la moglie Carie attende il processo previsto per il prossimo 22 agosto. Le accuse nei suoi confronti sono simili e, se confermate, potrebbero portare a una condanna altrettanto pesante.

Intanto, nella cittadina di Penrose, l’orrore è ancora fresco. Le famiglie colpite hanno condiviso testimonianze strazianti: alcune madri hanno scoperto che le ceneri del figlio erano finte, altri hanno dovuto riconoscere fotografie di corpi in putrefazione. L’amministrazione locale ha istituito un fondo speciale per sostenere i costi legali e psicologici delle vittime, mentre numerose associazioni chiedono ora un inasprimento delle leggi sui controlli nelle imprese funerarie.

La storia di “Return to Nature” è un monito drammatico: mostra come anche i luoghi deputati alla cura del lutto possano trasformarsi in teatri di crudeltà se lasciati senza vigilanza. In Colorado, ma non solo, il caso sta spingendo le autorità a rivedere le regole di accreditamento delle imprese funebri e i criteri per l’accesso ai fondi statali.

Il dolore delle famiglie, però, non si cancella con una condanna. «Ci hanno rubato l’ultimo gesto di amore», ha dichiarato una delle vittime in aula. Una frase che pesa più di qualunque sentenza, e che racconta fino in fondo la gravità di quanto accaduto.

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