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Cronaca
18 Giugno 2025 - 01:33
foto archivio
A chiamarli “maranza” eravamo stati noi. Con buona pace dei soliti indignati a intermittenza, o dei cretini “social” (ogni città ne vanta una nutrita colonia), che – puntuali come un tweet non richiesto – trasformano ogni articolo di cronaca nera in una polemica politica. Perché se nomini un gruppo di ragazzini molesti, ecco che qualcuno grida al “classismo”, alla “stigmatizzazione”, alla “strumentalizzazione contro l’amministrazione comunale della bravissima Elena Piastra”.
Ma qui – spiace deludere i benpensanti da tastiera – non si parla né di sinistra né di destra. Si parla di una decina di adolescenti tra i 15 e i 17 anni che per mesi hanno messo a ferro e fuoco piazza Caduti del Lavoro, cioè il piazzale del Conad.
No! Non era un’iperbole giornalistica. Era una lunga sequenza di episodi documentati: sputi ai passanti, ingressi del supermercato ostacolati per puro divertimento, estintori svuotati sulle auto parcheggiate, urla, insulti, minacce gratuite e persino petardi lanciati verso le vetrine.
Fino a qui, la cronaca di un degrado urbano ormai normalizzato. Ma poi (è notizia delle ultime ore) arriva l’inchiesta dei carabinieri della Tenenza di Settimo Torinese, che ribalta la narrazione e la restituisce nella sua gravità.
Sono loro, i militari dell’Arma, a entrare nelle case, frugare nei garage, aprire scatoloni, smontare zainetti e rovesciare cassetti, trovando molto più di quanto ci si potesse aspettare.
Foto archivio
Le perquisizioni domiciliari, eseguite su delega della Procura presso il Tribunale per i Minorenni, hanno rivelato un campionario inquietante: mazzette di banconote contraffatte – da 5, 10, 20 e 50 euro – probabilmente già spese nei negozi di Settimo, e poi materiale esplosivo di fabbricazione casalinga. Bombe artigianali. Sì, bombe. Non metafore, né giochi da ragazzini, ma veri e propri ordigni rudimentali: cilindri pirotecnici modificati, polvere da sparo, micce e inneschi di fortuna, assemblati nei box sotterranei, accanto a scooter, altoparlanti portatili e bombolette spray.
Una fabbrica clandestina del caos smantellata grazie a un’indagine capillare e silenziosa, fatta di appostamenti, incroci di immagini, segnalazioni, verifiche incrociate. E alla fine, quando i carabinieri sequestrano anche i cellulari dei ragazzi, viene fuori l’archivio dell’orrore: video girati dagli stessi autori, risate mentre esplode un petardo, selfie con la banconota falsa, storie in cui si vantano dei danni fatti. Loro che filmano, ridono, commentano: “Fratè, questa spacca”.
E ora, mentre i contenuti sono finiti nelle mani della magistratura minorile, il castello social dei “maranza” crolla sotto il peso delle accuse penali per almeno sette di loro: molestie, disturbo della quiete pubblica, danneggiamento, possesso e accensione di materiali esplodenti, fabbricazione di ordigni artigianali. Una sfilza di capi d’imputazione da brividi, con cui si dovranno confrontare davanti a un giudice.
E mentre la Procura lavora, la città osserva. Osserva le facce smarrite delle famiglie, i tentativi imbarazzati di chi ancora prova a minimizzare: “sono ragazzi, stanno cercando sé stessi”. Intanto, però, i commercianti contano i danni, i residenti raccontano le notti con le tapparelle abbassate, e la vera piazza – quella reale, di carne e cemento, non quella virtuale dei finti moralisti – pretende che la verità venga raccontata per quello che è.
Non è una crociata politica. Non è propaganda. È cronaca nera, inchiesta giudiziaria, fotografia sociale. È lo specchio di un vuoto educativo, di un mondo adulto che si è ritirato e ha lasciato spazio al branco, all’arroganza, all’anonimato tossico.
E la chiudiamo qui. Da giornalisti – quelli che scrivono, indagano, si prendono gli insulti e continuano – ci interessa raccontare i fatti. Anche quando fanno rumore. E quando il rumore è quello di una bomba rudimentale che esplode davanti ad un supermercato, allora è il caso di smettere con le menate sulle “etichette” e iniziare a parlare – seriamente – di responsabilità.
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