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Settimo Torinese nelle mani dei "maranza". Il piazzale del Conad è un inferno. E a 12 anni sputano sui passanti

Sedie lanciate nel vuoto, bottiglie che esplodono, bestemmie e degrado. Ragazzini fuori controllo tra l’inerzia delle forze dell’ordine, il silenzio dei genitori e l’autocompiacimento di un’Amministrazione che suona la chitarra mentre la città brucia

Settimo Torinese nelle mani dei "maranza". Il piazzale del Conad è un inferno. E a 12 anni sputano sui passanti

Settimo Torinese nelle mani dei "maranza". Il piazzale del Conad è un inferno. E a 12 anni sputano sui passanti (foto archivio)

C’è un luogo, a Settimo Torinese, che dovrebbe essere un semplice punto di passaggio per chi fa la spesa di giorno e uno spazio urbano tranquillo di sera. E invece è diventato l’epicentro del degrado cittadino. Parliamo del piazzale davanti al supermercato Conad, da circa un anno trasformato nel regno dell’inciviltà più sfacciata, tra l’indifferenza generale e il menefreghismo dell'Amministrazione comunale.

Non si tratta di semplici ragazzini un po’ vivaci. Qui siamo ben oltre. Sedie lanciate dalla balconata, bottiglie di plastica riempite – non si sa bene con quali sostanze – e agitate per provocare esplosioni nel parcheggio. Sputi sui passanti, urla, parolacce e bestemmie a qualsiasi ora. Il tutto nella totale assenza di un controllo serio e continuo. Una zona franca, dove la legge non entra, e dove gruppi di giovanissimi – qualcuno ha appena dodici anni – fanno ciò che vogliono, come e quando vogliono. C'è chi li chiama "maranza".

Chi lavora qui è esasperato.

“Ogni giorno la stessa storia. Vigili e carabinieri passano, fanno la ramanzina, ma la situazione non cambia. Forse peggiora”, racconta una commerciante. Poi aggiunge: “Mai visto un genitore. Mai. Ma questi bambini da dove escono?”

La domanda rimbalza tra cittadini increduli e arrabbiati. “Se mio figlio facesse una cosa del genere, lo chiuderei in casa a vita”, dice un’altra lavoratrice. Ma i figli degli altri, evidentemente, non rispondono a nessuno. Perché i genitori, nel migliore dei casi, sono troppo impegnati a postare storie su Facebook. E nel peggiore, non hanno idea di dove siano i loro figli né di cosa stiano combinando.

Fatto è che a Settimo, come in tante altre città, il disagio giovanile cresce nell’indifferenza, tra centri storici svuotati, spazi pubblici degradati e l’illusione che un paio di iniziative culturali possano bastare.

Le Amministrazioni comunali, un po’ ovunque, continuano a parlare di inclusione con toni zuccherosi, convinte che bastino una biblioteca, due libri, qualche "balletto" che accende lo spirito, un laboratorio e due corsi per “salvare i ragazzi”. E nel frattempo, i giovani si arrangiano da soli. Crescono per strada, nei piazzali come questo, lontani anni luce da ogni forma di presidio educativo, formativo, civico.

In troppi quartieri italiani – e Settimo non fa eccezione – avanzano insieme due fenomeni pericolosi: la desertificazione urbana e l’abbandono sociale. I negozi chiudono, i centri diventano dormitori, e i ragazzi restano lì, senza luoghi, senza alternative, senza adulti. A occuparsi di loro non sono psicologi, educatori o centri giovanili. No. Solo qualche guardia giurata esasperata o un passante che incassa l’ennesimo sputo.

E mentre le famiglie scompaiono e le forze dell’ordine fanno brevi apparizioni, il piazzale del Conad resta ciò che è diventato: un campo di battaglia quotidiano, uno specchio del disagio sociale. Il simbolo perfetto di una generazione lasciata allo sbando e di una politica locale cieca e autocelebrativa, troppo impegnata a raccontare fiabe su inclusività, partecipazione e comunità per accorgersi che la realtà – quella vera – sta franando sotto i piedi.

Il brutto è che tutto questo accade in una città governata da una sindaca, Elena Piastra, convinta di amministrare la realtà più “pacifica”, più “bella da vivere”, più “inclusiva” del mondo, mentre sotto il tappeto si accumulano sporcizia, violenza, frustrazione. Un’amministrazione che celebra l’innovazione e l’accoglienza con eventi patinati, ma che non ha nemmeno la forza – o il coraggio – di riconoscere che c’è un esercito di adolescenti abbandonati a sé stessi.

Qualcuno aspetta che succeda qualcosa di irreparabile. Qualcun altro, più disilluso, pensa che sia già accaduto: si è spezzato il patto tra adulti e giovani, tra genitori e figli, tra cittadini e istituzioni. A Settimo Torinese, davanti al Conad, ormai si può tutto. L’unica cosa che sembra vietata, paradossalmente, è la normalità.

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Di chi è la colpa?

C’è un momento, nella gestione del potere, in cui le parole si staccano dalla realtà. In cui l’“inclusione” diventa un concetto da convegno, la “comunità” uno slogan da social, e i “giovani” un pretesto per qualche post strappalike. E poi c’è il giorno dopo, quando apri la finestra, guardi il piazzale sotto casa e vedi una città che non esiste più, sostituita da una scenografia rotta, dove i ruoli si sono invertiti: i minorenni comandano, gli adulti si rassegnano, e le Istituzioni sorridono per finta mentre stringono mani a qualche conferenza sulla “cittadinanza attiva”.

Il caso del piazzale del Conad, a Settimo Torinese, non è un’eccezione. È la regola. È la fotografia di una generazione politica cresciuta nel culto dell’estetica amministrativa, in cui conta più l’evento che il contenuto, più l’inaugurazione di un parco con duemila piante morte ancora prima di essere piantate che la domanda “chi lo frequenterà?”. Sono anni che sindaci, assessori e portavoce parlano di “futuro”, ma il futuro, quello vero, è già qui fuori e urla, sputa sui passanti e fa esplodere bottiglie davanti a un supermercato.

Il problema non sono i “maranza”. Quelli sono solo il sintomo. Il problema è chi ha lasciato che tutto questo diventasse normalità, chi ha permesso che i luoghi pubblici smettessero di essere “spazi educativi” e diventassero parcheggi del disagio. Chi ha deciso che bastava una targa, un progetto europeo, i fondi Pnrr, una diretta su Facebook per mettere la coscienza in pace. Chi ha confuso l’urbanistica con il marketing politico, il welfare con il bilancio partecipativo, la scuola con un post motivazionale.

A Settimo – come ovunque – si è perso il senso della responsabilità politica vera: quella che non si misura in bandi vinti, ma in facce guardate negli occhi. Nelle piazze abitate da adulti, nei luoghi in cui qualcuno ha ancora il coraggio di dire no, di fermarsi, di educare, di proteggere. Invece si è preferito fingere che i problemi non esistano, che siano episodi, che siano “cose da ragazzi”.

No, non sono cose da ragazzi. Sono cose da adulti assenti, di amministratori pubblici a caccia di poltrone, di sindaci che vogliono fare carriera. E quando gli adulti non parlano più ai giovani, i giovani parlano tra loro. E quando parlano solo tra loro, la legge non serve più. Servono regole condivise, comunità reali, presenza continua, cultura della responsabilità, vigili urbani che fanno il proprio mestiere a tutte le ore del giorno. Tutto ciò che la politica – quella dei sorrisi in conferenza stampa – non sa più nemmeno da dove cominciare a ricostruire.

Perché il degrado non nasce nel piazzale. Nasce nelle giunte, nei consigli comunali, nei salotti dove si scambiano pacche sulle spalle e ci si racconta quanto “stiamo lavorando bene”, tra un sorrisetto e l'altro, tra un contributo agli alpini e l'altro, tra un festival dell'innovazione e un premio all'inclusione, tra un balletto del consigliere comunale e l'elogio alla farina delle legalità ch costa centinaia di euro al kg.

Peccato che fuori, intanto, tutto crolla. E che a 12 anni, oggi, si possa sputare in faccia al mondo. Con la benedizione silenziosa di chi avrebbe dovuto impedirlo.

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Commenti all'articolo

  • Tizzy

    18 Maggio 2025 - 09:32

    Regagliamogli una chitarra così la usano per tirarla in testa a qualcuno oltre agli sputi ecc......... stiamo toccando il fondo. La colpa? Nostra ovviamente che permettiamo tutto questo. Mandiamoli a Roma. No. Non durerebbero 5 minuti. In un attimo li farebbero sparire come per magia.

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