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Cronaca

Torinese sparisce in Honduras: la famiglia di Luca Pagliaro chiede la morte presunta

Svaniti nel nulla in Honduras nel 2010, Luca Pagliaro e Maurilio Mirabella non hanno mai fatto ritorno

Torinese sparisce in Honduras

Torinese sparisce in Honduras: la famiglia di Luca Pagliaro chiede la morte presunta

È una data che torna, puntuale come una ferita mai rimarginata. Il 16 marzo 2010 è il giorno in cui Luca Pagliaro, torinese di 33 anni, e Maurilio Mirabella, 47enne napoletano, scomparvero nel nulla. Quel giorno si allontanarono dalla scuola subacquea di Roatán, in Honduras, e non fecero mai più ritorno. Da allora, silenzio assoluto. Nessun avvistamento, nessun corpo ritrovato, nessuna verità.

Oggi, 15 anni dopo, la famiglia di Luca ha compiuto un passo drammatico quanto inevitabile: ha chiesto la dichiarazione di morte presunta, un atto che verrà concesso se nei prossimi sei mesi non emergeranno nuove informazioni. È il riconoscimento giuridico di un’assenza diventata, col tempo, certezza. E che segna, per i familiari, la fine ufficiale della speranza.

Proprio oggi, Luca avrebbe compito 49 anni. Eppure il suo volto, per tutti, è rimasto quello di un giovane uomo di 30 anni, sorridente tra le onde dei Caraibi, immortalato in foto con amici e delfini, mentre cercava di costruirsi una nuova vita in quel lembo di paradiso. Insegnante elementare a Torino, aveva lasciato tutto per trasferirsi in Honduras e lavorare con Mirabella, esperto istruttore subacqueo e fondatore della Waihuka Adventure Diving, una scuola d’immersione celebre per le escursioni tra gli squali.

Il 16 marzo 2010, i due vennero visti per l’ultima volta a bordo di un Suv diretto verso l’interno dell’isola. Da quel momento, nessuna traccia. Le autorità locali avviarono indagini, ma nessun risultato concreto emerse. I familiari, da Torino e da Napoli, non si arresero. Lottarono per anni, lanciarono appelli, aprirono pagine social, coinvolsero giornali e trasmissioni televisive. Ma il caso si rivelò più grande di loro.

Francesca Vaccaro, madre di Luca, è stata la voce più tenace. Per anni ha scritto sul gruppo Facebook dedicato alla scomparsa del figlio, passando dalla speranza alla disperazione, fino alla rabbia più cupa. In uno degli ultimi post, ha lasciato un messaggio che è anche un grido di dolore: «Mai nessun perdono per il o i colpevoli della sparizione di Luca e Maurilio. Solo maledizioni per l’eternità. Dio mi perdonerà perché sto vivendo un inferno sulla terra».

L’unica pista concreta emerse nel 2012, quando la Procura di Napoli aprì un fascicolo con l’ipotesi di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Due nomi finirono nel registro degli indagati: un uomo honduregno e un napoletano, sospettati di aver eliminato i due italiani per impadronirsi della scuola subacquea di Mirabella, ritenuta redditizia. Ma anche quell’inchiesta finì in un vicolo cieco. Nessun processo, nessuna verità, nessun colpevole.

Nel frattempo, gli anni sono passati. Quindici, per la precisione. E il caso Pagliaro-Mirabella è diventato uno dei tanti misteri italiani mai risolti all’estero. Una ferita che, senza verità, non potrà mai guarire davvero. La richiesta di morte presunta è una procedura tecnica, prevista dall’ordinamento italiano dopo dieci anni di silenzio assoluto. Serve a chiudere i conti, a sistemare gli aspetti legali e patrimoniali. Ma per una madre, per un fratello, per un’amica, significa solo un’altra frustrazione. La resa formale davanti a un dolore che non ha fine.

Sulla vicenda, nel tempo, si sono accumulati sospetti, mezze verità, teorie e ipotesi. Si è parlato di traffici locali, di faide interne, di interessi economici. Ma nulla è mai stato confermato. Roatán, isola da sogno per turisti e sub, è anche un luogo dove la giustizia può essere lontana e lenta, e dove la vita può sparire senza lasciare traccia. A oggi, la sorte di Luca e Maurilio resta un enigma sospeso.

Oggi, nel giorno in cui Luca avrebbe spento 49 candeline, resta solo il silenzio. E il tentativo della sua famiglia di chiudere una porta, se non sulla verità, almeno sull’attesa. Se nessuno si farà avanti entro sei mesi, il tribunale dichiarerà morto un uomo senza corpo né tomba, lasciando solo fotografie, ricordi e domande che non avranno mai risposta.

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