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Cronaca
04 Giugno 2025 - 11:40
Arturo Vidal
Per anni, il nome di Mario Burlò, imprenditore piemontese attivo nel settore immobiliare, è stato accostato al traffico torbido della 'ndrangheta nel Torinese, in particolare nell’area di Carmagnola, dove le indagini del maxi-processo Carminius hanno portato alla luce infiltrazioni criminali sistemiche. Tra i tanti capitoli dell’inchiesta, uno dei più clamorosi riguardava la compravendita di una villa a Moncalieri, appartenuta a Arturo Vidal, l’ex centrocampista della Juventus. Secondo l’accusa, l’acquisto dell’immobile da parte di Burlò sarebbe stato facilitato, se non orchestrato, da soggetti legati alla criminalità organizzata calabrese. Oggi, però, la Cassazione ribalta la narrazione.
Nelle motivazioni della sentenza depositate nei mesi scorsi, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio le condanne a carico di Burlò per quanto riguarda proprio questo affare, sostenendo che non ci sono prove di un coinvolgimento diretto o consapevole dell’imprenditore con ambienti mafiosi. La villa, messa sul mercato tra il 2018 e il 2019, era inizialmente in vendita per circa 500 mila euro, ma fu acquistata da Burlò per 325 mila euro, cifra che comprendeva anche la liquidazione delle provvigioni a favore di vari mediatori. Alcuni di questi, secondo le ipotesi investigative, avrebbero avuto legami diretti con la 'ndrangheta, ma questo non basta – ha sottolineato la Corte – a dimostrare un’operazione illecita a sfondo mafioso.
Arturo Vidal ex centrocampista della Juventus
I giudici di Cassazione hanno precisato che nella sentenza d’appello manca qualsiasi riferimento concreto a forme di intimidazione o pressione nei confronti del venditore, cioè Arturo Vidal, o del suo intermediario. Nessun “ammorbidimento”, nessun condizionamento. Solo una segnalazione occasionale dell’affare, passata di parola in parola fino a giungere a Burlò, che avrebbe poi concluso una trattativa regolare. La Corte ha evidenziato che per parlare di collusione con la criminalità organizzata serve molto di più: serve la prova che un imprenditore abbia messo la propria attività a disposizione delle cosche, o abbia stabilito con esse un rapporto stabile di reciproci vantaggi. Nel caso della villa a Moncalieri, invece, sarebbe emersa la “sostanziale occasionalità” dell’operazione.
Un passaggio decisivo, che non solo discolpa Burlò da ogni accusa mafiosa per questo episodio, ma che ha anche portato alla revoca della confisca dell’immobile, inizialmente disposta in via cautelativa. Una decisione che, di fatto, slega l’acquisto della villa dal contesto criminale disegnato dalla DDA nell’ambito del processo Carminius. Resta aperto il filone più ampio dell’inchiesta, che ha già prodotto condanne pesanti per affiliati e fiancheggiatori della ‘ndrangheta nel torinese, ma la posizione di Burlò esce ridimensionata in modo netto.
La vicenda solleva tuttavia interrogativi importanti sul confine – spesso sottile – tra opacità imprenditoriale e complicità criminale. La Cassazione, pur rigettando l’impostazione accusatoria, non nega che soggetti legati alle cosche possano aver avuto un ruolo laterale nella mediazione dell’affare. Ma l’occasionalità non fa sistema, e dunque non è sufficiente per parlare di “mafia imprenditoriale”, almeno in questo caso.
Un aspetto che divide. Perché da un lato si rafforza il principio di diritto secondo cui non basta la presenza di soggetti “contigui” per accusare un imprenditore di collusione. Dall’altro, però, si evidenzia il rischio che certi meccanismi di intermediazione immobiliare sfuggano ai radar legali, soprattutto in contesti a rischio di infiltrazione. In un mercato, come quello immobiliare, dove i soldi girano in fretta e le figure intermedie sono spesso opache, il rischio è che le cosche riescano a “mettere becco” anche senza esporsi direttamente.
Il caso Vidal, dunque, non è il tassello mancante dell’infiltrazione mafiosa in Piemonte, ma un’operazione isolata che ha generato ombre senza prove concrete. E così, mentre Arturo Vidal da tempo ha lasciato il calcio italiano, la sua vecchia villa finisce per diventare simbolo di un cortocircuito mediatico e giudiziario, dove le parole “’ndrangheta” e “affare immobiliare” si intrecciano pericolosamente, senza però — almeno in questo caso — trovare fondamento.
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