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Cronaca

Detenuto tenta il suicidio nel carcere di Ivrea: salvato in extremis dagli agenti

Tentato suicidio sventato nel carcere di Ivrea: il salvataggio di un detenuto riaccende i riflettori sull’emergenza penitenziaria

Dramma sventato nel carcere di Ivrea: l'eroico intervento della polizia penitenziaria

Tentato suicidio sventato nel carcere di Ivrea: il salvataggio di un detenuto riaccende i riflettori sull’emergenza penitenziaria

Dentro la Casa circondariale di Ivrea, martedì 27 maggio, si è sfiorata l’ennesima tragedia silenziosa del sistema carcerario italiano. Un detenuto ha tentato di togliersi la vita nella sua cella. Un gesto estremo, compiuto nel silenzio e nella disperazione, che avrebbe potuto trasformarsi nell’ennesima morte dietro le sbarre. Invece, grazie alla prontezza della polizia penitenziaria, il dramma è stato evitato. Gli agenti, in servizio in quel momento, sono intervenuti con una rapidità e una lucidità che hanno fatto la differenza. Hanno salvato una vita. Eppure, di quella prontezza si parla troppo poco.

A raccontare l’episodio sono le parole cariche di tensione di Matteo Ricucci, vice segretario regionale del SiNAPPe, che sottolinea come l’accaduto sia solo la punta dell’iceberg di una realtà carceraria messa alle strette da anni di tagli, mancanza di personale, e una gestione sempre più difficile. “Le carceri del distretto vivono dinamiche complesse, spesso invisibili all’esterno – dice Ricucci – ma è qui dentro che ogni giorno si combatte per mantenere in equilibrio la sicurezza e la dignità, anche di chi ha sbagliato”.

Il caso di Ivrea mostra in controluce un sistema sotto pressione. Gli agenti che hanno fermato il gesto suicida non sono solo custodi. Sono mediatori, psicologi improvvisati, sentinelle e soccorritori, costretti a muoversi in un limbo fatto di emergenze continue e risorse scarse. A dirlo chiaramente è Raffaele Tuttolomondo, segretario nazionale del SiNAPPe, che non si limita a lodare l’operato degli agenti. Il suo è un grido d’allarme verso le istituzioni. “Serve un’inversione di rotta – spiega – bisogna aumentare l’organico, garantire una formazione adeguata e soprattutto un sostegno psicologico serio per il personale. Lavorare in carcere logora, consuma, e spesso lascia cicatrici invisibili”.

Nelle sue parole, Tuttolomondo richiama anche la necessità di riconoscere pubblicamente il valore di chi ogni giorno indossa la divisa penitenziaria. Insieme a lui, anche il segretario generale del SiNAPPe, Roberto Santini, ha auspicato che l’Amministrazione regionale e quella centrale non restino indifferenti. “Non bastano le pacche sulle spalle – ha detto – serve un riconoscimento formale, concreto, che dia dignità a un mestiere che vive di sacrifici e senso del dovere”.

Nel carcere di Ivrea, come in tanti altri istituti italiani, la tensione è palpabile. Le statistiche raccontano di un aumento dei tentativi di suicidio, ma dietro i numeri ci sono volti, nomi, storie che si consumano nel silenzio. E ci sono agenti che, come in questo caso, diventano l’ultima barriera tra la disperazione e la morte. “Ogni volta che salviamo una vita – conclude Ricucci – ci chiediamo quanto ancora possiamo reggere senza un vero sostegno. È ora che le istituzioni ci ascoltino, davvero”.

Il tentato suicidio del 27 maggio non è un semplice episodio di cronaca carceraria. È un segnale chiaro, che arriva da dentro le mura di un penitenziario di provincia ma risuona forte a Roma, nelle stanze dove si scrivono leggi e si decidono bilanci. Se il sistema tiene, è grazie a chi, ogni giorno, lo sostiene con disciplina e umanità, anche a costo della propria salute. Ora tocca allo Stato fare la sua parte.

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