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Cronaca
23 Maggio 2025 - 10:22
Giorgio Molino, il “re delle soffitte di Torino” sotto inchiesta: 42 milioni evasi, alloggi fatiscenti e un’eredità bollente
C’è un volto dietro le stanze senza finestre, i letti a castello accatastati nelle soffitte, i canoni pretesi in contanti e i contratti mai registrati. È il volto di Giorgio Molino, 83 anni, figura quasi mitologica dell’immobiliare torinese, oggi travolto da accuse pesantissime: frode fiscale, truffa ai danni dello Stato e autoriciclaggio. Per decenni, è stato soprannominato “il re delle soffitte”, ma oggi, quell’impero costruito all’ombra della Mole, scricchiola sotto i colpi di magistrati, finanzieri e inchieste giornalistiche.
La vicenda affonda le radici nel secolo scorso, quando il nonno di Molino cominciò ad affittare stanze agli immigrati veneti in cerca di fortuna. Poi arrivarono i meridionali, gli africani, i sudamericani. La promessa era sempre la stessa: un tetto per ripartire. Ma dietro quella promessa si celava un sistema che, secondo la Guardia di Finanza, ha garantito quasi 42 milioni di euro di incassi non dichiarati tra il 2019 e il 2022. Soldi sottratti al fisco, gestiti attraverso un intricato reticolo di società, associazioni, prestanome. Tanto da portare al sequestro di oltre 7 milioni e 700mila euro.
Ora tutto ruota attorno a una perizia: quella dello psichiatra Franco Freilone, incaricato di stabilire se l’anziano imprenditore sia in grado di affrontare un processo. Una valutazione decisiva, dopo che una precedente relazione lo aveva dichiarato incapace, consentendogli di evitare l’aula. Ma intanto, mentre lui si defila, la scena passa a chi resta.
Affitti in nero e maxi evasioni
Il figlio Giuseppe Molino e la moglie Marianna Lucca hanno raccolto il testimone. Incaricato della difesa, l’avvocato Guglielmo Tartarolo parla di discontinuità: “Nessun intento speculativo. Abbiamo regolarizzato gli affitti, registrato i contratti, rispettato le regole.” E non solo. È in corso un accordo con la Fondazione Don Mario Operti, per facilitare l’accesso agli immobili da parte di extracomunitari e famiglie fragili. Una mossa che sa di riparazione, ma che non basta a spegnere la rabbia accumulata nei quartieri più colpiti.
A Corso Vigevano 41, simbolo del degrado ereditato da questa gestione, le condizioni sono ancora critiche. Le istituzioni locali, dal sindaco Stefano Lo Russo all’assessore Maurizio Marrone, minacciano l’esproprio: “Quegli immobili devono diventare case popolari”, dicono. Tartarolo replica con amarezza: “Manca il dialogo. Ci accusano, ma non ci ascoltano.”
Intanto, il nome Molino continua a dividere. Per alcuni, è il simbolo della speculazione più cinica, di chi ha fatto affari sul bisogno degli ultimi, gestendo il disagio come un business. Per altri, è anche l’unico che ha dato una casa – per quanto indegna – a chi non la trovava da nessun’altra parte. Il confine è sottile. Ma la giustizia, oggi, è chiamata a tracciarlo con chiarezza.
In un momento in cui Torino fatica a offrire soluzioni abitative dignitose, la storia di Giorgio Molino non è solo una questione giudiziaria: è uno specchio di cosa accade quando lo Stato abdica, e lascia campo libero all’iniziativa privata più spregiudicata. La città guarda, attende. E si interroga: qual è il prezzo della casa, quando a pagarlo non è solo il portafoglio ma anche la dignità?
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