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Cronaca

“Non lasciatela viva”: 14 anni, aggredita a Torino da un branco di adolescenti mentre l’ex incitava al telefono

Colpita con bottiglie, accoltellata alla mano, minacciata di morte. Tra Regio Parco e Barriera di Milano, il quartiere denuncia un clima di violenza quotidiana: “È l’ottava denuncia, ma nessuno ci protegge”. Il branco è legato a nuclei rom abusivi nei caseggiati ATC

“Non lasciatela viva”

“Non lasciatela viva”: l’incubo di Maria, 14 anni, aggredita a Torino da un branco di adolescenti mentre l’ex incitava al telefono

La ferocia ha il volto di chi non dovrebbe ancora conoscere l’odio. Ma sabato pomeriggio, in via Maddalene, una ragazzina di 14 anni è stata accerchiata e massacrata da un gruppo di sue coetanee, armate di bottiglie di birra e di un coltellino svizzero. L’hanno colpita, l’hanno ferita, e tutto questo mentre il suo ex fidanzato – neppure maggiorenne – gridava al telefono “non lasciatela viva”. Un ordine. Un istigatore. Una vendetta orchestrata, quasi rituale, che oggi lascia Torino sotto shock e un quartiere intero – tra Regio Parco e Barriera di Milano – in ginocchio.

Maria, nome di fantasia, è finita all’ospedale con cinque punti sulla mano sinistra. Ma più dei tagli, sono le cicatrici invisibili a stravolgere la sua quotidianità. Non esce più. Non dorme. Non parla. Ha quattordici anni, e nella sua città, nella sua strada, è stata aggredita come fosse una preda, al centro di un branco feroce, composto in gran parte da ragazze. Con loro, un ragazzo, il regista occulto, l’ex, quello che “non accetta di essere stato lasciato”. A settembre farà 18 anni. Intanto ha firmato un’aggressione premeditata, forse la più crudele tra quelle che la famiglia di Maria denuncia da mesi.

14enne aggredita a Torino

La madre è stremata. È l’ottava denuncia”, ripete come un mantra. Le minacce, le persecuzioni, gli appostamenti. Anche il fratello più piccolo, 13 anni, è nel mirino. Si sentono accerchiati, senza difese. Vivono nel terrore, senza sapere se domani sarà peggio di oggi. “Aspettiamo che me li ammazzino?”, urla. Non è una domanda, è un grido. Un’accusa.

Tutto ruota attorno a un nodo irrisolto: una parte delle famiglie rom che occupano abusivamente gli alloggi popolari ATC. Il quartiere, da anni, lamenta un’escalation di violenza, soprusi, intimidazioni. E la tensione è esplosiva. Gli sgomberi sono arrivati, ma troppo tardi, troppo pochi, troppo blandi. “Viviamo sotto assedio”, dicono le vicine di casa, le mamme, le nonne. Tutte solidali, tutte impaurite. Le istituzioni, per ora, restano a guardare.

La comunità chiede giustizia. Ma anche risposte, presenza, prevenzione. Perché il volto tumefatto di Maria, la sua mano cucita da cinque punti, non possono restare solo il referto di pronto soccorso. Sono il simbolo di una generazione cresciuta troppo in fretta nella violenza, dell’assenza totale di educazione emotiva, del fallimento di una rete sociale che dovrebbe proteggere i più fragili.

Nel frattempo, Maria resta chiusa in casa, prigioniera della paura. La scuola tace, la città si divide, il branco resta libero. E l’ex fidanzato, a pochi mesi dalla maggiore età, continua a spadroneggiare tra i cortili, sfidando anche i carabinieri. Le denunce sono lì, nero su bianco. Ma servono ancora corpi feriti per essere ascoltati?

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